VictimQuale segreto nasconde il programmatore Manson Man? Viene rapito, senza un apparente motivo, e si trova coinvolto in un complicato affare di estorsioni e denaro falso. E, come se l'intreccio poliziesco non fosse sufficiente, ecco un vecchio albergo a cui le superstizioni collegano strane storie di omicidi e fantasmi. Non si può dire che l'ultimo thriller diretto da Ringo Lam sia un esempio di semplicità narrativa, ma bisogna dare atto a chi lo ha scritto (Joe Ma con la collaborazione dello stesso Lam) di possedere una coerenza e una bravura non indifferenti. Facile infatti perdere la bussola in una storia così complicata, che peraltro non vuole svelare le carte fino alla fine. Ringo Lam completa lo stile realista che ne aveva caratterizzato i primi capolavori on fire, e riporta il suo cinema a ragionare sulla sobrietà di Full Alert. Il risultato è inappuntabile, fatto di movimenti veloci e macchina a mano, di piani medi e inquadrature molto ricercate. Un modo di girare secco e saturo, colorato come solo Christopher Doyle sa fare, ma non per questo formalmente eccessivo. Il livello narrativo è multiplo, si parte con la pista poliziesca, si arriva ad un'ipotesi fantastica e poi si torna all'azione, ma non in veste definitiva, visto che la pellicola, così incerta nel suo incedere, è stata addirittura distribuita con due finali differenti. Analogamente a Shining di Stanley Kubrick (citato esplicitamente nella location dell'albergo) il camminare sul confine tra due generi non crea confusione, ma suspance. Il regista sembra divertirsi un mondo a giocare con lo spettatore. Anche quando le cose sembrano arrivate all'estremo, infatti, il pathos emotivo viene spezzato dalle sottotrame che coinvolgono i protagonisti. Il rischio di rompere il giocattolo e di perdere la tensione accumulata viene evitato in favore di una sospensione del giudizio che permette al pubblico di assimilare quanto ha appena visto e di ragionarci sopra, in cerca della soluzione più logica e plausibile. Un altro trucco per far lavorare la mente di chi sta assistendo alla proiezione, offrendogli la possibilità di formulare ipotesi e di riconquistare quelle certezze che, com'è ovvio immaginare, saranno spazzate via già dal fotogramma successivo.
Ringo Lam riesce a dimostrarsi ancora una volta un grande direttore di attori. Lau Ching-wan e Tony Leung, duo di anti-eroi che si contrappongono, riportano in auge il dittico criminale-poliziotto, caricandolo maggiormente di sfumature psicologiche. Non è infatti il solito incontro-scontro tra buono e cattivo cui il cinema d'azione ricorre in continuazione, ma un'esposizione dei lampi di luce e delle zone d'ombra della personalità umana, senza voler prendere esplicitamente le parti dell'uno o dell'altro personaggio. I protagonisti non sono burattini nelle mani dello sceneggiatore e del regista, ma partono da una caratterizzazione psicologia iniziale per crescere, godendo di vita propria.
Guardando a posteriori la carriera di Ringo Lam, offuscata di recente da diversi passi falsi, Victim merita un posto tra i lavori più riusciti e personali, segno della ritrovata vitalità di un autore che, dopo gli esordi esaltanti, negli anni novanta ha a lungo stentato prima di riuscire a trovare la propria dimensione artistica (volendo includere nel periodo buio anche l'eccessivo Full Contact, oltre alle regie americane con Van Damme). Il prossimo passo potrebbe essere, o almeno così si spera, quello della definitiva riemersione dal limbo.

Hong Kong, 1999
Regia: Ringo Lam
Soggetto / Sceneggiatura: Joe Ma, Ringo Lam
Cast: Lau Ching-wan, Amy Kwok, Tony Leung Ka-fai, Hui Siu-hung, Emily Kwan

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