Categoria: RIVISTE

Lunga intervista a Fruit Chan, svoltasi in occasione del festival di La Rochelle nel luglio 2002, dove il regista ha presentato Hollywood Hong Kong (2001).
Aprono la chiacchierata gli aneddoti sugli anni dell'adolescenza passati nella cabina di proiezione di un cinema vicino casa. «In effetti dopo averlo visto [Nuovo Cinema Paradiso, ndr] mi sono detto: accidenti, avrei potuto farlo io questo film, è la mia giovinezza».
A seguire l'apprendistato tecnico, iniziato negli anni '80 in qualità di aiuto o co-regista di Sammo Hung in pellicole che vantano la presenza della star Jackie Chan [Heart of the Dragon e Dragon Forever] e di Kirk Wong [Crime Story e Rock n' Roll Cop].
Finalmente l'esordio registico con il film horror Finale in Blood (1991).
Dopodiché nel '95, mentre sta lavorando a un film da girare in Cina, venuto meno il sostegno della produzione, Fruit Chan si ritrova con diversi metri di pellicola inutilizzata a disposizione; vi è inoltre l'approssimarsi di due eventi molto sentiti dal regista, vale a dire il centenario del cinema e l'annessione di Hong Kong alla Cina: tutti questi stimoli lo portano alla realizzazione di Made in Hong Kong (1997).
Attraverso un fitto e ben congegnato botta e risposta tra l'intervistatore e il regista, Fruit Chan ha modo di ripercorrere anche il resto della sua carriera di cineasta fino a prima di Public Toilet (2002), cioè la realizzazione dei film The Longest Summer (1998), Little Cheung (1999), Durian, Durian (2000) e Hollywood Hong Kong (pellicole che tra l'altro hanno partecipato a numerosi festival cinematografici europei, suscitando sempre clamore e/o apprezzamenti), il tutto intrecciato ad aneddoti, all'esposizione della propria cifra stilistica, dei temi prediletti. «Personalmente cerco di andare contro il tipo di cinema promosso dalle major, le mie storie parlano di gente comune» -, dei riferimenti e dei maestri cinematografici - «ad esempio Fellini, Truffaut, Godard e Oshima. A quel tempo riuscivano a fare dei film con pochi soldi e questo m'impressionò moltissimo» -, fino ad una puntuale e pertinente disamina della situazione politica (e dell'industria cinematografica) mondiale contemporanea.
Giunti alla fine dell'intervista, ci si ritrova di fronte al ritratto di un regista ironico, intelligente, acuto e sensibile, a cui necessariamente si devono riconoscere quelli che a tutti gli effetti sono i connotati peculiari d'indiscusso, autentico artista indipendente, come del resto già in parte si poteva evincere dalla visione della sua filmografia. «Anche se a Hong Kong ci sono molti registi indipendenti, per la maggior parte lavorano all'interno di compagnie per così dire "indipendenti", in modo da non avere problemi con i finanziamenti, ma per me ciò non significa essere veramente indipendenti. Quando decisi di girare Made in Hong Kong qualcuno mi propose di contattare una casa di produzione "indipendente" per poter avere un finanziamento, ma mi rifiutai perché ero sicuro di non ricevere le garanzie necessarie per poter svolgere il film indipendentemente. Alla fine feci una colletta tra gli amici e i parenti e girai il film con una piccola troupe, solo cinque persone. Non volevo assolutamente mettermi nelle mani di una casa di produzione, che mi avrebbe imposto qualcosa e alla quale avrei dovuto obbedire per contratto, quindi decisi di arrangiarmi da solo e finora posso considerarmi come l'alternativa indipendente alla scena "indipendente" di Hong Kong».

Numero: 50 / Anno: V
Periodo: 22 Dicembre 2002
Autori: Roberto Carlotto
Lingua: Italiano
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Foto: Colore
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