Categoria: FILM

Boat PeopleUn fotografo giapponese è invitato dal governo vietnamita per rendersi conto in prima persona dei cambiamenti avvenuti nel paese dopo la liberazione di Danang e per propagandare attraverso i suoi scatti il nuovo clima di ricostruzione. Dietro la facciata felice si nascondono dei campi di lavoro dove i ribelli sono costretti allo sminamento dei terreni.
Il pessimismo dei primi anni ottanta, riflesso dal cinema, non ammette repliche, e spesso le ambizioni di protesta hanno trovato riparo dietro la facciata del genere. Il noir è stato un mascheramento prediletto per una manciata di cineasti ribelli. Tra questi il nome di Ann Hui è da tenere in grande considerazione per l'impegno politico profuso e per la veemenza dei toni. Le apparenze vogliono Boat People come un film sul Vietnam e sul disastroso periodo seguente la rivoluzione interna, ma la realtà è molto diversa. Dietro la facciata - un attacco duro e realista al paese - c'è il vero bersaglio, ovverosia la madrepatria Cina (nonostante le sonore smentite della produttrice Hsia Meng1), che coproduce la pellicola senza rendersi conto di cosa si tratti (per poi vietarne la circolazione in casa). Un vero e proprio atto d'accusa nei confronti del comunismo e dei suoi modi di agire contro le masse, sfruttate all'osso e ridotte a non nutrire altra speranza che non sia la fuga.
Boat People è probabilmente il vertice della filmografia di Ann Hui, spietato documento di impegno civile applicato al cinema. La regia non indugia mai in un'aperta celebrazione del suo punto di vista, ma è rafforzata da uno stile scevro di sensazionalismi. La durezza delle immagini adotta sensibilmente il fuoricampo, che amplifica il disagio di chi guarda, senza rinunciare a qualche inevitabile exploit drammatico. I personaggi sono vivi: oltre ai protagonisti occorrerebbe riflettere su tre figure di minor spicco: lo stremato comandante Nguyen («Il Vietnam ha vinto la sua rivoluzione, io ho perso la mia»), la sua bella signora2 e lo scavezzacollo dal cuore d'oro interpretato da Andy Lau (al debutto assoluto, ma al suo posto avrebbe dovuto esserci Chow Yun Fat).
Rivisto oggi, il film non ha perso un solo grammo di intransigenza, e rimane un capolavoro di coerenza. Nello stesso periodo a Hong Kong usciva un film di Yim Ho (prodotto, guarda caso, ancora da Hsia Meng), Homecoming, che provava a ribaltare la visione, proponendo il ritorno alla semplicità (cinese) come unica via possibile per ritrovare se stessi in un'ottica a lunga distanza.

Note:
1. «Sono stati i sostenitori [dell'indipendenza] di Taiwan che hanno inventato questa idea a proposito della situazione descritta nel film. E' un'interpretazione alla quale non avrei mai pensato. Ne sono venuta a conoscenza leggendo i giornali. Se questo film fosse stato veramente pensato contro la Repubblica Popolare Cinese, come mai ci avrebbero permesso di lavorare là?». Parole della produttrice Hsia Meng da Charles Tesson - Les 1001 ruses de Xia Meng in Olivier Assayas, Charles Tesson (a cura di) - Made in Hong Kong (Cahiers du Cinema 362-363, 1984).
2. Cora Miao, talmente elegante e affascinante che Andy Lau, suo compagno di set, ha più volte ammesso di non essere mai riuscito a guardarla negli occhi o a prenderle la mano sul set. L'attrice è citata da Lau come «la più bella donna con cui abbia mai lavorato».

Hong Kong, 1982
Regia: Ann Hui
Soggetto / Sceneggiatura: Yau Dai On-ping
Cast: George Lam, Season Ma, Kei Mung Shek, Cora Miao, Andy Lau