Categoria: FESTIVAL

Introduzione
di Matteo Di Giulio

La sesta edizione di Udine partiva sotto migliori auspici della precedente: niente SARS, niente polemiche, quasi tutti gli ospiti previsti a rapporto (alla fine è mancata all'appuntamento solo Barbara Wong), con due politici locali (sindaco e assessore regionale) sul palco a Infernal Affairs 2sancire l'importanza della manifestazione e pace fatta dopo i dispetti dello scorso anno. La novità sono i film aperitivo, con due proiezioni inattese che anticipano l'inaugurazione vera e propria del festival. La panoramica sulla contemporaneità cinematografica hongkonghese, composta da undici titoli, è ricca e variegata: ci sono più noir del previsto, con il secondo e il terzo Infernal Affairs a capitanare la parata (seguiti a ruota da Colour of the Truth e Heroic Duo), e ci sono anche quest'anno le grandi commedie di successo, come Men Suddenly in Black o il giovanilista Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat. Bisogna aspettare un giorno (sabato pomeriggio) per vedere la prima opera in concorso, l'atteso Running on Karma di Johnnie To e Wai Ka-fai, fresco trionfatore agli Hong Kong Film Award, ideale apripista rosanero. In un certo senso il lavoro di To e Wai è anche l'ipotetico metro di paragone a fare da spartiacque tra film tesi, duri, drammatici (anche Lost in Time del redivido Derek Yee), e parentesi leggere (anche troppo, si veda il deludente Elixir of Love), scanzonate, demenziali (Dragon Loaded di Vincent Kok, trampolino di lancio per il nuovo talento comico Ronald Cheng, poco apprezzato dalla platea del Teatro Giovanni da Udine).
Appurato che il premio del pubblico è fuori portata, un po' perché i film più rappresentativi - come i due seguiti di Andrew Lau e Alan Mak - non sono in prima serata, un po' perché la concorrenza è davvero spietata (The Twilight Samurai di Yamada Yoji, per esempio, è davvero di un'altra categoria), si può riflettere
sullo stato del cinema di Hong Kong di oggi, aiutati dagli editoriali ottimisti scritti sul catalogo da Ryan Law e Tim Youngs, dai volti soddisfatti degli ospiti (uno dei quali, il solito ineffabile Johnnie To, si porta dietro la macchina da presa e gira in loco, con Andy Lau e Sammi Cheng, alcuni parti del suo prossimo film) e dal raffronto temporale con un grande maestro cui il CEC, in collaborazione con l'Hong Kong Film Archive, dedica intelligentemente una retrospettiva di fondamentale importanza. Chor Yuen, omaggiato anche con un'ottima pubblicazione a parte, dimostra come il presente, anche solo a livello teorico, non è che un reimpasto di una tradizionThe Black Rosee inventiva e assolutamente postmoderna già in auge diverse decadi orsono. Degli undici titoli presentati solo tre sono del catalogo Shaw Brothers. Egoisticamente parlando è una fortuna, visto che le otto pellicole cantonesi degli anni sessanta sarebbero altrimenti introvabili in versione sottotitolata. Nonostante la qualità audio / video non sempre all'altezza della situazione - ne fa le spese soprattutto lo struggente Tear-Laden Rose - la rivelazione è totale. Finalmente anche in occidente a un genio del cinema cinese viene ridato il giusto posto nella storia: Chor dimostra di essere un sublime narratore (Winter Love), creatore di storie fantasiose e fumettose (The Black Rose), stratega e innovatore (The Prodigal), di sapere dirigere con classe gli attori (in particolar modo la moglie Nam Hung), di avere le capacità per plasmare i generi e se necessario di potersi anche prestare a fare il protagonista (A Mad Woman). Con un unico colpo di mano Chor (peccato che non sia potuto intervenire, avrebbe potuto raccontarne delle belle...), infaticabile lavoratore sul set e in studio, vero amante della settima arte, gentiluomo incuriosito da letteratura e classicismo, cantore del cinema in lingua cantonese, proprio da lui rilanciato (The House of 72 Tenants) in tempi di strapotere mandarino, impartisce a posteriori ai suoi futuri discepoli, tra i plausi unanimi di chi è accorso per apprezzarne la voglia di mettersi sempre in discussione, una lezione di grande umiltà e di compostezza formale invidiabile. Il vero vincitore, in ambito hongkonghese, è senz'altro lui.




Film in programma
di Roberto Curti, Matteo Di Giulio, Nicola La Cecilia, Stefano Locati, Valentina Verrocchio


Coadiuvato dalla grinta (grezza) di Marco Mak, Wong Jing sferra un altro bel colpo dei suoi. Colour of the Truth sta a Infernal Affairs come Return to a Better Tomorrow stava ai capolavori noir di inizio anni '90. Trama stiracchiata, personaggi rubati (grande Anthony Wong), idee non sempre raffinate: eppure la pellicola avvince e senza grandi proclami porta a casa, con umiltà e gran senso del ritmo, il consenso popolare allargato. * Ultimamente in qualità di regista Vincent Kok si era concentrato su commediole da nuovo anno ricche di nomi Dragon Loadedaltisonanti (Sammi Cheng, Miriam Yeung, Tony Leung Chiu-wai) e povere di verve (Marry a Rich Man, My Lucky Star). Con Dragon Loaded il tentativo è ritornare a una comicità più dirompente, sgangherata forse, ma coinvolgente: arruolata quella che doveva essere la next big thing del vivaio comico - Ronald Cheng - in realtà la copia indisponente di Stephen Chiau, i buoni propositi naufragano nel mare di gag a basso costo e atmosfere alla Scuola di polizia. Non risollevano le sorti le citazioni da PTU e il povero Sam Lee. * Elixir of Love sembra una variazione (scema) sul tema di Il profumo di Suskind. La bella principessina Miriam Yeung puzza fin dalla nascita in maniera insopportabile. Urge trovare un rimedio, che arriva nelle vesti stracciate del geniale ma un po' tonto giardiniere Richie Ren. Il tono oscilla tra fiabesco e farsaccia: Yip non lesina gag olfattive da mandare in brodo di giuggiole il Waters di Polyester ed evita accuratamente di sviluppare i temi (la solitudine, l'anormalità, l'esilio forzato dal mondo e dai simili) che un simile spunto suggeriva. Le due star vanno avanti a faccine e smorfiette, il grande Lam Suet è ridotto a un macchiettone, roba da far rimpiangere Wong Jing. Una pugnalata alle spalle per chi ai tempi di Metade Fumaca si illudeva di aver trovato un altro autore da coccolare. * Uno sbirro e un malvivente esperto di ipnosi, Eking Chen e Leon Lai, da sempre belloni (quasi) privi d'espressioni, in Heroic Duo si coalizzano per far fuori il povero Francis Ng travestito da Joker sadico coi capelli permanentati. Poche parole, molte corse, svariate esplosioni, qualche freddura, atmosfere vagamente antiutopiche, grande cura cromatica e finale di fuoco fanno di questo film un action metallico e superficiale, ma in qualche vago modo avvincente, anche grazie al mondo di cose sprigionato, tutto ad un tratto, dal sorriso di Karena Lam! * Il noir hongkonghese al momento non ha rivali e lo dimostra in pieno il secondo tassello della pluripremiata / acclamata saga Infernal Affairs, che ha raggiunto in meno di due anni il numero di tre episodi, ciascuno encomiabile e peculiare. In questo segmento centrale vengono approfonditi i due personaggi secondari della prima parte, il mafioso interpretato da Eric Tsang e il poliziotto impersonato da Anthony Wong. In scena qui ci sono emozioni / sentimenti talmente forti / esasperati da risultare spesso piacevolmente / insostenibilmente barocchi. * Infernal Affairs III sembrerebbe l'episodio più debole della saga. E invece è il più complesso, il più sfaccettato, pur sprecando qualche personaggio (Leon Lai) e costringendosi ad un'agiografia - il beneficiario è Tony Leung Chiu-wai - non sempre motivata dalla trama. Alle scene d'azione fa da contraltare la perfetta recitazione sottotono di Andy Lau, sempre più calato in un ruolo d'altri tempi, di grande spessore. L'accumulo di materiale porta in primo luogo a una presunta confusione dei ruoli, ma basta una seconda visione per ridare chiarezza ai punti oscuri e per svelare la sottigliezza di sceneggiatura e regia, che chiedono intelligentemente grandi sforzi al pubblico pur di non ricorrere a scorciatoie qualunquiste. * Il ritorno alla regia di Derek Yee dopo l'accattivante The Truth about Jane and Sam (1999), dimostra come a Hong Kong ci sia ancora un pubblico per i melodrammi scarni ed emotivamente forti, e non solo per le commedie da botteghino. Rincuorante nella sua semplicità, Lost in Time sfrutta un cast importante (Lau Ching-wan, Cecilia Cheung, Luis Koo in una particina) in una storia sospesa tra crudo realismo e magico abbandono, in cui una ragazza, nonostante le avversità, si prende cura del figlio del suo amante, morto in un incidente stradale. * Men Suddenly in Black è una commedia con protagonista l'eterno scontro fra i dueLost in Time sessi: difficile stabilire alla fine chi siano i vincitori e i vinti. Ma un vincitore certo c'è ed è Edmond Pang che, al secondo lungometraggio dopo il sorprendente esordio con You Shoot, I Shoot, tra citazioni, parodie, nonsense e paradossi, ha nuovamente realizzato un film denso, ben scritto e ben diretto e grazie al quale si ride, ma si riflette anche molto. Eric Tsang è da dieci e lode e il suo personaggio riassume incredibilmente in un solo colpo tutta la sua mirabile / lunghissima carriera d'attore. * Lontano anni luce dal minimalismo à la The Mission / PTU , Running on Karma offre invece una sapida miscela di elementi comici e mélo, action e mistici. Johnnie To e Wai Ka-fai hanno realizzato un film talmente ricco ed eterogeneo, da risultare a tratti di difficile lettura / interpretazione. Andy Lau, in versione body builder con tuta provvista di enormi muscoli visibilmente artificiali, è il simbolo della magnifica e peculiare arte affabulatoria del cinema di Hong Kong, allorquando predilige l'evidente / sincero artificio al menzognero / illusorio realismo a tutti i costi. * Sei amici condividono un appartamento, combinandone di tutti i colori. Infantile, spensierato, Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat di Barbara Wong raccoglie le popstar giovani più promettenti e gli dà voce in un palcoscenico mainstream di tutto rispetto. Non tutto funziona a meraviglia, il film perde ritmo dopo la prima metà e lo ritrova solo nel finale, eppure c'è un afflato di squadra che coinvolge e, senza impressionare particolarmente, produce sorrisi, divertimento e qualche battuta - sulla SARS, neanche a farlo apposta - piacevolmente graffiante. * Da una graphic novel del taiwanese Jimmy Liao, i sempre più ambiziosi Johnnie To e Wai Ka-fai traggono un mélo disastroso. Non tanto per la forma, iper-curata (soprattutto colonna sonora e fotografia), quanto per lo spreco di mezzi (offerti senza risparmiare dalla Warner Bros) e di talento attoriale. In Turn Left, Turn Right sono proprio i due protagonisti che, nella continua rincorsa di sentimenti tutto sommato banali, non riescono assolutamente a lasciare il segno. O forse è il riciclo programmatico di idee scontate a smontare un giocattolo tirato a lucido, scintillante, bello da vedere, ma privo dei grandi significati romantici di cui vorrebbe aprioristicamente farsi portatore.




Retrospettiva Chor Yuen
di Paolo Bertolin, Matteo Di Giulio, Nicola La Cecilia, Stefano Locati, Valentina Verrocchio

La personale ricetta di Chor Yuen per un film di semplice intrattenimento: commedia e thriller, mélo e arti marziali, Diabolik e Robin Hood, il tutto declinato al femminile, in virtù delle protagoniste, due sorelle ladre che rubano ai ricchi per dare ai poveri. C'è da notare che The Black Rose è del 1965, poiché questa data oltre a far riflettere sull'arditezza / sensibilità / intelligenza / bravura con cui il regista già all'epoca riusciva a organizzare dei materiali di partenza così eterogenei e apparentemente recalcitranti, rivela anche la matrice semplicemente sincretica del cinema popolare hongkonghese, mentre in occidente, in ambiti assolutamente non cinematografici, il dibattito sul postmoderno era soltanto agli albori. * Melodramma neorealista incentrato sull'amore parentale, The Great Devotion si distingue da opere similari, occidentali e non, per il fatalismo che lo innerva e per la presenza vigorosa di un'accorata analisi sociale che non teme l'istanza ideologica. Sull'ossatura della lotta per mantenere la propria numerosa famiglia da parte di un professore licenziato in tempi di recessione generalizzata, The House of 72 TenantsChor Yuen innesta infatti le costole di un pervasivo ritratto in nero della condizione proletaria, vestendo in prima persona i panni di un novello Robin Hood. Il côté dell'impegno sostanzia, ma non prevarica mai su una riuscita di cinema corroborante, aperta in fine, alla speranza, attraverso la solidarietà di classe. * The House of 72 Tenants è l'adattamento di un'opera teatrale di successo, in co-produzione con la tv, e uno dei maggiori incassi del 1973. Commedia corale su un condominio abitato da un eterogeneo gruppo del sottoproletariato, si rivela fresca, irriverente, politicamente schierata (i cattivi sono i due proprietari, i poliziotti sono corrotti, i pompieri chiedono mazzette per intervenire), una gioia soprattutto per gli amanti di lunga data del cinema di Hong Kong, con una selva di cammei da indovina chi - Danny Lee, Lily Ho, Helena Law, Betty Pei Ti. * Irruzione negli inusuali territori del thriller psicologico per In My Dream Last Night, del 1963, in cui un giovane ubriaco investe una ragazza lungo una strada di campagna, la porta a casa per occultare le prove e si ritrova ad indagare sulla sua reale identità (lei ha un'amnesia). Tra tensione e istinti drammatici, Chor Yuen imbastisce un'architettura inconsueta, persino sensuale nel solitario vagare notturno della protagonista, ma stempera parte della novità in uno sviluppo ridondante, che vuole spiegare tutto e subito, accumulando troppe ripetizioni. * Intimate Confessions of a Chinese Courtesan, del 1972, è un circolare film in costume venato di una sottile sensualità omoerotica femminile, scandalosa per i tempi, diretta fonte d'ispirazione per il famoso Naked Killer di Clarence Ford - di più di vent'anni successivo. Elegante nella messa in scena e nei movimenti di macchina, esasperato nei toni tragici, pur sempre calibrato nella resa drammatica, assomiglia a un rape and revenge dei più semplici, ma non rinuncia a una narrazione cristallina (a dimostrarlo basterebbe l'intero duello finale sotto quella neve così palesemente artificiale) che gli fa raggiungere lo status di classico. * Con Killer Clans Chor Yuen non si risparmia: inizia con un nudo gratuito, inquina le acque presentando decine di personaggi nel giro di pochi minuti, ne elimina buona parte a sorpresa, dimostrando spirito e gusto da prestigiatore. Intrecciando storie, umori e passioni, il geniale regista gioca con il pubblico, lo stimola, gli offre esempi e citazioni; alla fine assesta un gran colpo di scena prima di chiuedere con un splendido inseguimento in notturna. Il palco è tutto per Yueh Hua, uno degli attori chiave del wuxia targato Shaw Bros, amata pedina dell'autore, che gli concede tutte le armi possibili in una serie continua di duelli di rara eleganza ed efficacia. * Storia di discriminazione femminile, tra cieca tradizione patriarcale e rigurgiti di caccia alle streghe, A Mad Woman è un'opera che fonde in sublime sincretismo l'afflato del mélo più avvincente con le venature di un tetro horror d'ombre e scricchioli,The Black Rose concedendosi pure, nel primo atto le sapide stoccate della satira sferzante. Aperto da un'apparizione sullo schermo dello stesso Chor Yuen, carica di un non scontato e ammirevole impegno in prima persona rispetto a quanto a venire, A Mad Woman è un'opera di fortissimo impegno, anti-oscurantista, di audace e vivido progressismo. Virtualmente perfetto su tutti i fronti dell'espressione cinematografica, trascinante ed emotivamente potentissimo, il film di Chor Yuen è un compendio essenziale dei modus della cinematografia cinese, all'interno di cui è doveroso collocarlo nel pantheon dei capolavori maggiori. * Realizzato nel 1969, in pieno fervore di modernismo cinematografico, The Prodigal aderisce perfettamente a una corrente di cinema che scopre l'espressività di una mdp non più mera testimone di sceneggiatura e recitazione, ma voce viva che informa e dà tono alla messa in immagini. Va da sé che il film di Chor Yuen potrà richiamare in molti, per stilemi (contre-plongée, luministica contrastata, inquadrature sghembe utilizzate come veicoli espressivi) e tematiche (ribellione giovanile, lotta di classe), parecchie opere pressoché contemporanee di area asiatica, da Oshima ad Imamura, e forse il gusto per un'enunciazione cinematografica marcata e sempre visibile potrà oggi parere datato, se non estraniare. Nondimeno si tratta di un esempio magistrale di un cinema dall'articolazione linguistica complessa e stimolante, capolavoro turgido che riprova l'estro proteiforme di Chor. * Due amici, due donne, due pittori, due stili artistici diversi... tutto doppio tranne un imponente unico mozzafiato ritratto intitolato Tear-Laden Rose. Gran mélo sgangherato e scontato; grande attrazione di opposti, grande storia di amicizie e sacrifici ai limiti dell'inverosimile, grande raccoglitore di colpi di scena impossibili, questo è uno dei Chor Yuen invecchiati peggio, eppure lo stesso guardabile non fosse altro che per vagabodare con Patrick Tse in una Hong Kong senza grattacieli... * La tessitura dei mélo di Chor Yuen è intrecciata su una trama stilistica di maturità corposa sulla quale s'annodano le variazioni di mutevoli coloriture drammaturgiche: lo splendido Winter Love, tra slanci d'emozione e contegno adulto della sofferenza, ammanta esemplarmente il suo intreccio in un velluto formale fatto delle volute di una stratificazione di flashback, che scoprono di volta in volta i preziosi ricami dell'accurata composizione del quadro e del tattile disegno dei personaggi. Interpreti di consistenza sopraffina, serica, tra cui pure una giovane Josephine Siao. Memorabile la sequenza nello stadio di calcio, vuoto, di notte: stampa indelebile su pellicola di un arte che s'appropria di luoghi per abitarli di un'astrazione filmica vertiginosa. * Connie Chan, la straordinaria inarrestabile birichina di Young, Pregnant and Unmarried, pensando che il papà si arrabbierà di meno essendo abituato alle sue marachelle, ne combina una davvero grossa fingendosi incinta per coprire la gravidanza della sorella (e non sapendo niente di come si fanno i bimbi!). Ancora una volta Chor Yuen degli scambi e dei doppi in un film super divertente, audace e ingenuo insieme, senza tempo e con tanto sfrenato e buffo senso dell'umorismo.