Categoria: LA COMMEDIA ALL'HONGKONGHESE

Happy GhostSecondo molti appassionati di Hong Kong e dei suoi film - ivi compresa una buona fetta di critici occidentali - il cinema cantonese è prevalentemente d'azione, sia essa quella moderna di noir e stunt acrobatici o quella in costume di arti marziali e wuxiapian. In realtà è una sorta di paralogismo derivato da un equivoco di base: dettato per lo più da scelte di visione volutamente parziali. Nell'intero arco della sua storia l'industria di Hong Kong ha dimostrato, al pari della maggior parte delle cinematografie mondiali, di non poter prescindere dalla commedia, il (sovra)genere più popolare e apprezzato dal grande pubblico. I cineasti dell'ex colonia britannica hanno applicato il loro linguaggio a forme classiche recepite da modelli universali, incuranti di diritti d'autore e originalità: Michael Hui frulla Buster Keaton e Billy Wilder, Stephen Chiau riprende Jerry Lewis e lo stesso Hui, John Woo gira un film, Laughing Times, con Dean Shek negli stessi identici panni di Charlie Chaplin.

Sono tutte operazioni che possono tranquillamente essere considerate un plagio senza ritegno, eseguito in maniera rozza, grossolana, ma che riescono nell'intento di far (sor)ridere e di intrattenere. Accanto a questo modo di agire, derivativo, complementare ma inventivo, c'è poi un secondo strato che si muove su coordinate differenti. La satira sociale, per esempio, nasce negli anni cinquanta, parla quasi esclusivamente il dialetto cantonese (in un periodo in cui è il cinema mandarino a prevalere) ed è un fenomeno autoctono e irriproducibile; così come la tradizione dell'opera cinese, che recupera miti comici classici e senza bisogno di aggiornarli li riproduce su grande schermo. La verità giace probabilmente nel mezzo: autori illuminati e particolarmente dotati di spirito e acume, come Wong Tin Lam, Alfred Cheung, Lee Lik-chi, il primo Johnnie To o Joe Ma, si appropriano direttamente dei bisogni del pubblico e ne mettono alla berlina, pubblicamente, ansie e aspirazioni. Spingendo maggiormente sull'acceleratore, e su un umorismo grottesco e bizzarro, Jeff Lau, Li Han-hsiang e Chor Yuen - che con lo sfrenato The House of 72 Tenants reinventa, negli anni settanta, il cinema mainstream in cantonese -, arrivano alla farsa The House of 72 Tenantsscatenata, ibridando generi e situazioni, prendendo(si) in giro e stigmatizzando per assurdo il meglio e il peggio che la contemporaneità offre loro come spunto.
La commedia ha possibilità illimitate, e se sfruttata a dovere è lo specchio di se stessa: da questo punto di vista il cinema di Hong Kong ci ha abituati benissimo, considerato l'alto numero di parodie, stilizzazioni, buffonate, imitazioni, serializzazioni, cialtronate, proposte senza sosta. In che altra nazione, per esempio, si può assistere a un duello immaginifico come quello messo in piedi e continuamente riproposto da Wong Jing contro il suo eterno rivale Wong Kar-wai, sbeffeggiato pubblicamente in decine di pellicole (una delle quali, Those Were the Days, vede la riconoscibilissima caricatura del popolare regista, più altezzoso e snob che mai, addirittura nelle vesti di protagonista in un viaggio a ritroso nel tempo)? O dove altro si può assistere a una commistione tra gossip e realtà (Love and Sex in the Eastern Hollywood) senza querele? O a un omaggio sincero a un film e a un'epoca lontane (92 Legendary La Rose Noire; The Golden Girls)? La commedia, come il cinema in generale, va raccontata attraverso i volti dei suoi protagonisti assoluti, siano essi i principali mattatori o piccoli clown poco noti - spesso addirittura incomprensibili a chi non mastichi i linguaggi paralleli di musica, televisione e teatro - e dallo scarso avvenire commerciale. Un discorso cronologico non può poi prescindere dallo star system, dalla sua evoluzione, dalle politiche autoriali di registi impegnati strenuamente su questo fronte e dalla scelte di case di produzione, grandi e piccole, che hanno fatto dell'alleggerimento tattico il loro inequivocabile marchio di fabbrica. Scendendo nel dettaglio di alcuni aspetti peculiari - quali l'horror buffo, la parodia del poliziesco (per dimostrare intertestualmente la veridicità dell'assunto esposto in apertura), i cheapies con Connie Chan e Josephine Siao -, l'idea è di provare ad analizzare al contempo i tronconi di base e le parentesi accessorie di un calderone assolutamente troppo vasto per poter essere ben circoscritto e delineato, ma proprio perciò oggetto di studio stimolante e primario in un'ipotetica ricostruzione storico-logica del cinema hongkonghese.