Categoria: LA COMMEDIA ALL'HONGKONGHESE

Meccanismi e strategie alla base della risata: i filoni, i bersagli e i clichés della commedia

Premesse storico-logiche

Aces Go PlacesE' complicato tracciare una cronologia di base e le linee guida della comicità hongkonghese. La materia di studio è tale e tanta da rendere arduo qualsivoglia tentativo di sintesi. Quello che a questo punto più ci preme è considerare alcuni aspetti chiave dell'umorimo cantonese, un minimo comun denominatore della commedia, delegando lo studio cronologico di una frazione delle esperienze storicamente più significative ad una sezione a parte. In questa sede ci interessa piuttosto comprendere come, evolvendosi, la commedia abbia creato e sfruttato trend autoctoni, o anche altrui ma rivisitati alla propria maniera. L'industria hongkonghese è sempre stata abilissima a moltipicare i suoi sforzi per cavalcare un'onda favorevole: non sono mai mancati seguiti, cloni, parodie e serie nate dal nulla. Nella commedia - come nel wuxiapian, che però deve questa prolificità soprattutto all'episodicità di partenza dei testi tradotti su grande schermo - il fenomeno è addirittura incontrollato, e il motivo è prettamente commerciale; raramente si tratta di precise scelte artistiche. Neanche fosse una tecnica del kung fu, da esplorare fino allo stremo e alla massima perfezione, la mentalità dei produttori prevede un semplice assioma: il prodotto che vende va sfruttato a ripetizione finché il pubblico non dimostra chiaramente di non poterne più. Di conseguenza un sequel non si nega praticamente a nessuno; per riproporre personaggi amati, per incentivare un mezzo flop o per rinfrescare la memoria (storicamente labile) dell'audience anche a qualche anno di distanza dal prototipo. Una delle saghe più apprezzate dal pubblico, Aces Go Places, è stata riproposta per cinque episodi, altrettante imitazioni non autorizzate e una coda nostalgica, 97 Aces Go Places, che dietro la facciata dell'omaggio commemorativo prova a sondare il terreno per un ritorno, previo inevitabile aggiornamento, di quello stesso tipo di film. Altro dato importante: la ripresa sistematica di soggetti e personaggi non è pratica esclusiva degli ultimi anni. Negli anni '50 Cheung Ying incontra il favore del pubblico nei panni di Broker Lai, un piccolo industriale che parte dal nulla, un personaggio che subito viene opzionato per una trilogia, partita con The Adventures of Broker Lai and the Smart Feitian Nan, proseguita con The Misarranged Love Trap e chiusa da Broker Lai. All'inizio degli anni '70 la commedia erotica TheThe Lucky Seven Lucky Seven lancia definitivamente il sex appeal di Tina Ti e, a sopresa, sbanca al box office guadagnandosi un seguito di eguale successo, The Lucky Seven Strike Again. Da qui nasce il film erotico hongkonghese. Per non parlare della moltiplicazione di Rose nere e Rose bianche nate sulla scia dell'esito positivo di The Black Rose di Chor Yuen e del suo seguito ufficiale Spy with My Face. Pratica diffusa è anche il dittico1: ovverosia la divisione di un film - concepito già in partenza come serial - in due o più parti. Diary of a Chauvinistic Husband, Love, Chinese Odyssey, Royal Tramp sono ottimi esempi di questa tendenza. Rare voci dal coro, quelle pellicole nate, nelle intenzioni dei produttori, come archetipi ammazza-incassi e poi, dopo l'inatteso insuccesso, chiuse in fretta e furia: i casi più famosi e clamorosi sono il mélo Days of Being Wild e il wuxia Kung Fu Cult Master2.
Al fianco delle serie ci sono poi i filoni tematici, ossia quei sotto-generi nati quasi per caso e perfezionati con la pratica, di pellicola in pellicola. Il fenomeno è sempre spudoratamente e rigorosamente commerciale: la riproduzione è legata ai trend del momento, ai gusti del pubblico e alle loro abitudini. La contestualizzazione di argomenti e strategie permette a posteriori allo studioso una percezione che va oltre la portata di mero intrattenimento del mezzo cinematografico e consente una sorta di sistematizzazione tematica legata al cambio dei tempi. Percezione inevitabilmente semplicistica, ma tutto sommato efficace. I filoni si succedono senza soluzione di continuità al box office, abdicando l'uno in favore dell'altro quando i tempi sono maturi: negli anni '50 tirano le commedie sociali, satiriche e popolari; nel decennio successivo gli youth movies su giovani scapestrati e innamorati; nella prima metà degli anni '70 tiene banco Li Han-hsiang e la nuova generazione di farse erotico-grottesche (dirette da ex attori come Lui Kei e Ho Fan); nella seconda metà esplode il talento di Michael Hui e di chi cerca faticosamente di stargli dietro (John Woo; Karl Maka). Dopo un periodo di serialità semplificata e non troppo varia - con un unico argomento come fattore trainante del mercato - con la New Wave si completa la transizione del cinema di Hong Kong verso la sua fase matura, il che implica una proliferazione e una multisfaccettatura di elementi e aspetti anche all'interno di uno stesso genere. Con l'avvento della Cinema City nascono le pellicole chasing girls, le commedie corali di capodanno e ritornano di moda gli pseudo 007 hi-tech; per stare al Encounter of the Spooky Kindpasso gli Shaw e Wong Jing inventano il filone - più avventuroso - dei gamblers, che sbancherà al box office dopo essere stato rielaborato come derivazione comico-poliziesca. Di qui in avanti è un progressivo dilagare nel regno della fantasia e delle mille possibilità che l'intersecazione di temi già provati e nuovi può offrire a registi e sceneggiatori senza remore. A questo livello agisce soprattutto la parodia scanzonata: il nuovo boom del wuxia viene subito trasformato in wuxia comico, così come dopo l'esplosione delle arti marziali negli anni '70 era sopraggiunta la commedia gongfu di Liu Chia Liang, Jackie Chan o Sammo Hung. Gli stessi Chan e Hung, appena conosciuta la grande popolarità, partecipano alla parata delle lucky stars, quattro film e mezzo di enorme successo. L'horror comico a base di vampiri e esorcismi raggiunge il culmine con l'imitatissimo Mr. Vampire, e non abbandonerà mai più lo spettatore, anche negli odierni periodi bui dei quasi venti Troublesome Night. L'unico filo comune è l'assenza di criteri: tutto è lecito, nulla è impossibile; l'importante è tentare senza paura e ripensamenti. Anche oggi, soprattutto oggi, in un periodo di minor incisività del cinema. Non è un caso che siano rinate dopo un periodo di oblio le commedie corali, le sfide durante il capodanno, e che Stephen Chiau e Jackie Chan, pur limitando il numero di pellicole interpretate (e dirette), siano sempre gli assoluti mattatori, i più amati (e pagati) dal pubblico, con lo stesso tipo di comicità gradualmente adattata alla loro maturazione artistica. La crisi creativa spinge ad un ritorno al passato, a una tradizione consolidata da riproporre a piacimento in un contesto aggiornato: non si spiegano altrimenti le moderne pellicole sui signori della truffa - con titoli che promettono tricky master e conmen - con Andy Lau, Nat Chan e Nick Cheung, o la nuova leva di star teenager che sembrano rifarsi ai fasti di Josephine Siao e Connie Chan. E' interessante notare poi la valenza non banale riflessa dalle figure prese di mira, senza distinzione, protagoniste assolute di serie e filoni tematici: prostitute, call girls, poliziotti, gigolo, studenti, industriali, monaci, gwailo, operai, playboy, affittuari, sfigati, madri, padri, figli, famiglie, malati, singles, adulti, politici, bambini, cinematografari, ladri, pompieri, inquilini, medici, ristoratori e via di seguito. Ogni categoria morale, economica e sociale offre innumerevoli possibilità da cogliere al volo, basta saperne approfittare.

Note:
1. La tendenza a raddoppiare su grande schermo è impiegata soprattutto nel mélo, a partire dai grandi feuilleton targati Cathay - Sun, Moon and Star, A Story of Three Loves - e Shaw - The Blue and the Black -, e nel wuxiapian. Spesso i romanzi di partenza - o a maggior ragione i racconti pubblicati a puntate su quotidiani e riviste - sono talmente estesi da necessitare, nella loro natura di kolossal, questa frammentazione: ancora oggi è considerato un suicidio commerciale proporre al pubblico, abituato a restare al cinema a malapena per i classici 90 minuti, pellicole di durata eccessivamente superiore.
2. E in misura minore anche l'epilogo aperto di He ain't Heavy, He's My Father!: «Non c'è nulla di più triste, invece, del finale che promette un seguito che non è mai stato realizzato [...]: tristezza che ovviamente può cogliere solo a posteriori, vedendo il film a distanza di anni, in cassetta. Qualcosa si è inceppato, il film non è riuscito a produrre altre realtà fittizie.» Alberto Pezzotta - Tutto il cinema di Hong Kong (Baldini & Castoldi, 1999 - pag. 244)




Criteri pratici e tattiche

La comicità hongkonghese è un libero sperimentare, un esuberante ibrido di sensazioni che a volte può apparire sbilanciato, se non addirittura casuale, e lasciare basito lo spettatore meno avvezzo. Nell'assurdità dei contrasti non bisogna mai dimenticarsi che la comicità hongkonghese è pragmatica, legata a filo doppio con la realtà cui si riferisce. E' quindi un hic et nunc umoristico che non può prescindere,Boys Are Easy com'è d'altronde giusto che sia, dalla specificità e dalle conoscenze dello spettatore medio3. In questo contesto particolare si muovono personaggi ben riconoscibili, macchiette e caricature pensate appositamente ad uso e consumo del pubblico locale: possono essere derivazioni impazzite di standard occidentali ridicolizzati - l'ipotetico connubio James Bond / ispettore Clouseau di Aces Go Places; l'investigatore da strapazzo di All the Wrong Clues (...for the Right Solution) - così come metafore autoctone - il fat-si di Mr. Vampire; i rascal affiliati alle triadi di King of Comedy -, l'importante è che siano facilmente identificabili da parte della platea, che ride per il paradosso macchiettistico. E se in realtà non è poi così pacifica la caratterizzazione dei protagonisti, degli anti-eroi, spesso diversi tra loro per tipologie e qualità specifiche, è più semplice identificare i bersagli comuni e la loro provenienza. La discriminante è sociale - la lotta di classe in tante love stories tormentate (un titolo per tutti: First Love Unlimited) - come razziale - gli indiani presi costantemente per i fondelli; i giapponesi bistrattati razzisticamente; i cinesi disprezzati e temuti -, economica - il classico ricchi vs. poveri -, sessuale - le donne fragili o solo apparentementi tali (le poliziotte dure e pure di The Inspector Wears Skirt); le vamp mangiauomini (di Modern Romance o Boys Are Easy); i maschi sporcaccioni e/o intraprendenti (Hong Kong Playboys; Chasing Girls) -, religiosa - tranne rare eccezioni i cattolici ne escono particolarmente male -, politica - il governatore parodiato in Bodyguards of Last Governor; il confronto tra polizie di Her Fatal Ways - o addirittura gastronomica (The Chinese Feast; The God of Cookery). Tra gli obiettivi generalizzati non mancano le istituzioni e le strutture della società - contemporanea e della tradizione del passato recente e remoto - che di volta in volta si prestano meglio alla satira.
Nella dialettica comica sono tenuti in grande considerazione ibridazioni programmatiche e contrasti improponibili, l'azzardo dei cui accostamenti fa ridere di per sé, in partenza. Vedere Stephen Chiau alle prese con un pappagallo e farne un uso sconsiderato (ne beve l'orina contenuta per fare i gargarismi) è abbastanza ridicolo, così come Michael Hui radiografato inconsapevolmente e in diretta mentre cerca di ingannare il suocero violento. In una celebre e riuscita gag di Security Unlimited i due fratelli Hui, guardie giurate poco abili, cercano inutilmente di sfruttare un telo illuminato per inscenare un improbabile gioco di ombre cinesi e sfuggire a una gang di rapinatori decisi a sbarazzarsi di loro; in God of Gambler's Return l'espediente è ancora più patetico: Tony Leung Ka-fai si mette due lancette in Her Fatal Waysbocca e fa dondolare una mazza da golf tra le gambe per mascherarsi da orologio a pendolo. Wong Jing, è un vulcano di idee in tal senso, specie se può abbinare il suo humour grossolano alla vis incontenibile di Stephen Chiau. Il discorso funziona bene nella parodia e ancor meglio nella satira in costume: in Forbidden City Cop l'inventore imperiale sciorina idee assurde, tra cui un rudimentale elicottero, che quasi per caso finiscono per essere efficaci. Non c'è limite alla fantasia e alle idee anche strampalate che possono essere utilizzate in funzione demenziale: nei casi migliori lo stesso espediente viene poi sistematicamente rovesciato per creare un effetto boomerang che stende il pubblico con un afrore immediatamente opposto a quello appena subìto. Il rincorrersi di lacrime e risate non è mai casuale - in King of Comedy la stupida comparsa capace di scatenare solo disastri finisce per innamorarsi di una intrattenitrice da night club: ma prima di rendersi conto dei reciproci sentimenti (e di commuovere) i due danno vita a un continuato duetto acido e pungente con la donna che maltratta e insulta senza mezze misure colui che dovrebbe insegnarle a migliorare come prostituta -, anzi nella maggior parte dei casi è l'alternanza che dà ritmo e imprevedibilità a pellicole altrimenti molto banali. I salti inter-generici sono dunque una costante di cui tenere conto: l'aggettivo a seguire identifica ulteriormente un filone: così l'horror comico, il wuxia comico, la commedia gongfu o il noir comico diventano presto precise delimitazioni territoriali con un proprio diritto di cittadinanza all'interno del calderone del cinema cantonese.
Nelle diverse anime dell'ironia cantonese convivono facilmente scatologia, cattivo gusto e - non in contraddizione - una certa raffinatezza, più spesso di regia e atmosfere che delle situazioni vere e proprie. Neanche Peter Chan e le sophisticated comedies della U.F.O. che hanno dettato legge fino alla seconda metà degli anni '90 sono stati esenti dal cosiddetto toilet humour4: in Tom, Dick and Hairy i tre peni dei protagonisti parlano in prima persona; in He's a Woman, She's a Man si respira a più riprese una strana aria quasi omofoba; in Twenty Something non mancano nudi e situazioni scabrose. La dicotomia che determina il confronto è dunque l'unica vera invariante della comicità hongkonghese. Questo dualismo prolungato agisce su più strati contrapposti: serietà e demenziale; classicismo e parodia; umorismo basso e estetizzazioni; bêtise e pulizia formale; coprofagia e raffinatezza; stupidità e intelligenza. The Greatest Civil War on Earth parte da un preupposto spicciolo - un cantonese lotta contro un mainlander per scongiurare il temuto matrimonio tra i rispettivi figli -, prevede battute infantili ma che hanno al tempo stesso, visto che sono strettamente legate a una cultura e a un modo di pensare specifici e indicativi, una forte valenza sociale: la regia passa in secondo piano e le gag risultano funzionali pur non distaccandosi da un'ingenuità narrativa di base. Nella commedia è difficile riscontrare grandi innovazioni stilistiche5 - con la solita eccezione del miglior Chiau, che sfrutta ogni potenzialità multimediale e comunicativa del mezzo scenico (le vignette e gli spot fittizi di Tricky Brains e Sixty Million Dollar Man, i paradossi di From Beijing with Love, gli effetti speciali e le coreografie mozzafiato di Shaolin Soccer) e dello Tsui Hark più ispirato (Love in theHe's a Woman, She's a Man Time of Twilight; il già citato The Chinese Feast; il vortice ondivago e consapevole di Peking Opera Blues) -, a fronte di una libertà contenutistica senza paragoni. Niente e nessuno è esente da questo tipo di umorismo cantonese. Neanche quei registi globalizzati e volutamente ripuliti - che pensano più al mercato delle esportazioni che a quello interno -, come il Gordon Chan del modesto Okinawa: Rendez-Vous o Jingle Ma. Nemmeno quando le fonti sono spudoratamente derivative, rimescolamenti di blockbuster giapponesi o hollywoodiani filtrati secondo la propria mentalità, né se le parodie o le farse sono precisamente collocabili in una poetica autoriale precisa. Con tali inderogabili premesse l'unico modo di partecipare al gioco con coscienza, divertendosi, è il prendere tutto in blocco o evitare a priori, senza una vera via di mezzo soddisfacente. Tanto ieri quanto oggi - e, si spera, anche domani, nonostante alcuni tentennamenti provvisori -, la specificità ingenua e l'infantile capacità di non prendersi troppo sul serio sono la vera forza della comicità hongkonghese.

Note:
3. Il principale effetto collaterale è la scarsa efficacia delle gag anche a pochi anni di distanza: le battute sulla SARS di Truth or Dare: Sixth Floor Rear Flat, per esempio, rischiano di perdersi col passare del tempo e di risultare poco comprensibili a posteriori.
4. «Infine bisogna accennare a un particolarissimo sottogenere di umorismo scatologico, il cosiddetto toilet humour, che perseguita in pratica tutti i generi del cinema di Hong Kong.» Giona Nazzaro, Andrea Tagliacozzo - Il cinema di Hong Kong (Le Mani, 1997 - pag. 30).
5. «C'è una specie di elementare saggezza, nel metodo di Michael Hui [...] La messa in scena è invisibile, la rappresentazione frontale, ma [...] riesce a non essere piatta. Hui, per conto suo, si vantava di non badare allo stile [...]» Alberto Pezzotta - Tutto il cinema di Hong Kong (Baldini & Castoldi, 1999).