Categoria: LA COMMEDIA ALL'HONGKONGHESE

Challenge of the GamestersL'incredibile apporto apportato da Wong Jing alla commedia hongkonghese meriterebbe, per quantità e importanza, uno speciale a sé. D'altronde stiamo parlando di una delle più incredibili macchine che il cinema moderno ricordi, regista prolifico, produttore inarrestabile, sceneggiatore fantasioso, scopritore di talenti, inventore di mode e generi, attore demenziale, un uomo su cui - è il caso di dirlo - sono stati spesi fiumi di parole e per cui non si esauriscono mai aggettivi e paragoni. A partire dai suoi nobili natali: è figlio d'arte, visto che il padre Wong Tin Lam, altrettanto sopraffino creatore di sogni con un fiuto tutto particolare per commedie e wuxiapian, è stato uno dei pezzi da novanta dei decenni a cavallo tra anni '50 e '70. Dedicatosi al piccolo schermo, il padre svezza il figlio e lo coinvolge in una miniserie di successo dedicata ai gamblers, The Shell Game. Per Wong junior, grande appassionato di scommesse e tavoli verdi - tanto da essere capace di seguire, contemporaneamente, con un occhio la macchina da presa e con l'altro le corse dei cavalli su sui aveva puntato qualche dollaro1 - è il preludio naturale a una carriera straordinaria, cominciata nei prestigiosi Shaw Studios (un piccolo affronto al padre, nome di punta dei rivali Cathay) con Challenge of the Gamesters. Piccolo di statura, grassoccio, dallo smagliante sorriso2, con lo sguardo intelligente coperto dalle spesse lenti degli occhiali, Wong Jing non ha l'aspetto dell'affarista, del cinematografaro che non si tira indietro di fronte a qualunque sfida, dell'industriale capace di vendere un suo film ancor prima di averlo girato (meglio se sul mercato taiwanese, da sempre il suo prediletto), sfruttando vecchio materiale rimontato per l'occasione. Amato dal pubblico, che affolla le sale dove si proiettano pellicole a cui in qualche modo è legato il suo nome, odiato dalla critica3, che ne biasima l'estrema popolarità e la grossolaneria, Wong rappresenta meglio di chiunque altro una faccia - quella scintillante, redditizia, non per forza la migliore, di certo una delle più appariscenti - della società cantonese e della sua cinematografia.
Wong Jing è un fulmine, irrefrenabile, attorniato da collaboratori svegli quanto lui, disposti a sacrificare sonno, vacanze e tempo libero per prendere appunti, aggiornarsi, guardare film e scrivere sceneggiature. A capo di due compagnie, la storica Wong Jing's Film Workshop e la co-intestata BoB Film & Partners (con Andrew Lau e Manfred Wong: insieme formano un trinomio formidabile al box office), il regista-produttore-scrittore-mecenate non ha scrupoli e non perde la minima occasione di guadagnare denaro. Riciclando idee, rimescolando concetti vincenti, sfruttando per diversi film gli stessi set o i medesimi attori. Dal punto di vista pratico Wong ha messo in piedi un meccanismo a orologeria che non perde un colpo: quando si gira, lui si concentra sulle scene con i dialoghi (e, se il film è di quelli giusti, sulleWhatever You Want... sequenze d'azzardo), cede al coreografo tutte le scene d'azione e una seconda unità esterni senza attori e raccordi. Poliedrico, ambivalente, riesce a esplicare nella commedia il suo gusto multisfaccetto per il grottesco, per la parodia (tra i suoi bersagli preferiti: scommettitori, playboy, donne emancipate, spadaccini e idoli della tradizione storica), per lo sberleffo gratuito. Inevitabilmente con un atteggiamento così categorico e con l'incedere da schiacciasassi che ne contraddistingue lo spirito si crea inimicizie, rivalità, su cui lui per primo ama giocare e scherzare. E' celebre la sua contrapposizione con l'artistico Wong Kar-wai, più volte preso in giro (nel finto-rétro Those Were the Days o in Whatever You Want...). Astuto approfittatore di tutto ciò che gli offre la quotidianità, sia essa la cronaca o un fatto personale, Wong è un incredibile fustigatore sociale, capace di mettere alla berlina ogni questione in sospeso, anche auto-parodiandosi, con grande spirito critico, senza pudori. Il suo nome rimarrà impresso, presso il grande pubblico (occidentale), per i vari God of Gamblers, ma Wong è anche e soprattutto uno dei registi che ha spinto con maggior convinzione l'estro comico di Stephen Chiau4 verso la grandezza assoluta (Royal Tramp; lo scatenato e divertentissimo Tricky Brains), il produttore che ha reinventato il Cat. III comico (Raped by an Angel II: The Uniform Fan; Chinese Torture Chamber Story), l'artefice della rinascita della commedia corale serializzata (The Romancing Star; The Crazy Companies), lo sceneggiatore che messo mano ad horror comici di grande effetto (Ghostly Vixen; My Neighbours Are Phantoms).
Accusato dalle attrici di avere il vizio di sfruttare la sua posizione per prendersi qualche vantaggio, Wong, che ha fatto a lungo coppia fissa con Chingmy Yau5, è indubbiamente talent scout coi controfiocchi. Dal suo entourage sono emersi interpreti e tecnici di primissimo piano: ha tenuto a battesimo decine di aspiranti professionisti (come Aman Chang, Dick Cho, Andrew Lau), che ha fatto maturare (o esplodere dopo un periodo di stasi: è il caso di Clarence Ford) sotto la propria ala protettiva. Ma la sua vera forza, in ambito comico-demenziale, è data dalla straordinaria applicazione, dal senso del ritmo, dall'originalità dei soggetti: per quanto scadente possa essere, difficilmente un film di Wong Jing è noioso o banale. Paragonato non a torto a Bob Hope e al trio Zucker-Abrahams-Zucker, Wong non è (soltanto) un profeta della Tricky Brainspochade a basso costo, della demenzialità citazionista o del cattivo gusto, ma anche e soprattutto un alfiere della bê e dell'opportunismo cantonese, dello spirito do it yourself dell'imprenditore dalle idee chiare, della volli, fortissimamente volli che gli permette di superare ogni difficoltà, tecnica, umana o economica. In vent'anni di onoratissima carriera Wong ha vissuto un solo momento buio, successivo alla crisi del cinema di Hong Kong dopo l'handover. Ha investito molto sul mercato cinese che non si è aperto e ha dovuto aspettare il momento giusto per tornare a recitare il ruolo che gli spetta, di protagonista, di vecchia volpe, vivacchiando alla giornata e rubando qua e là idee e situazioni (Love Me, Love My Money, love story alla Joe Ma; Cop Shop Babes, commedia chasing girls senza troppo mordente). A pochi anni di distanza i tempi cupi paiono già superati: nel solo 2003 Wong ha messo mano a mezza dozzina di film, due dei quali - The Spy Dad e Honesty -, se non memorabili sono quantomeno significativi della ritrovata forma.

Note:
1. Testimonianza diretta di Chow Yun Fat: cfr. The Two Mr. Wongs, in Fredric Dannen, Barry Long - Hong Kong Babylon (Miramax Books, 1997 - pagg. 48-49).
2. Regalo poco gradito di ignoti aggressori, che una sera di parecchi anni fa gli hanno rotto tutti i denti per vendicarsi di chissà quale sgarro subìto. Secondo le malelingue sarebbero stati malavitosi mandati da Charles Heung della Win's, indispettito dal tradimento del regista che aveva appena firmato un lucroso contratto in esclusiva con la Golden Harvest.
3. Per un'analisi molto acuta dell'opera di Wong, al di là di prese di posizione partigiane, dichiarazioni d'amore di convenienza e attacchi soggettivi, cfr. Whatever You Want: Wong Jing, in David Bordwell - Planet Hong Kong (Harvard University Press, 2000 - pagg. 171-177).
4. E, in misura minore, colui che ha puntato con decisione su Andy Lau in tempi non sospetti.
5. Musa a cui ha dedicato più di un film - Blind Romance; Boys Are Easy - e alla cui affermazione nello star system ha contribuito massicciamente.