Categoria: APPROFONDIMENTI

A Mob StoryAndrew Lau, classe 1960, è noto al grande pubblico, locale e internazionale, per la trilogia Infernal Affairs (2002-2003), cui gli Oscar a The Departed (2006, di Martin Scorsese) hanno regalato grande pubblicità. Lau, che da diversi anni non si separa dietro la macchina da presa dal socio Alan Mak se non in rare occasioni, ha però un trascorso artistico che va parecchio indietro nel tempo, dagli esordi come direttore della fotografia per Wong Kar-wai ai primi successi al box office di Hong Kong, con la saga Young and Dangerous (1996).

Inanellata una serie di flop costati molto cari, buon ultimo il deludente Confession of Pain (2006), Lau - che ha ben quattro set da inaugurare come regista - prova contemporaneamente a percorrere una seconda strada, autoeleggendosi a salvatore del cinema di Hong Kong nelle vesti di produttore. Foraggiato dalla televisiva Fortune Star, che sta incassando bene con le ristampe in dvd dei migliori film dei gloriosi anni '80, Lau si fa portavoce di un nugolo di pellicole che, a prescindere dai risultati, puntano con convinzione al cinema di genere.
Apre il lotto Haunted School (2007), girato direttamente in digitale da Chin Man-kei, seguono a ruota A Mob Story (2007, di Herman Yau), un noir crudo e grandguignolesco, The Third Eye (2007, di Carol Lai), Undercover (2007, di Blly Chung). La qualità dei progetti è accettabile, in media con gli standard low budget dell'industria di oggi, ma memore della lezione di ieri, dove la mancanza di soldi era mascherata da inventiva e professionalità tecnica.
The Haunted SchoolCambiano, rispetto a una decina di anni fa, il target di mercato e la strategia di marketing: la pellicola è ora progettata a 360 gradi, non più unicamente come prodotto da sala cinematografica ma anche come investimento domestico. Il processo, al contrario di quanto avviene in occidente, è però a brevissimo termine: il fatto che il film esca al cinema è quasi un surplus, tutt'ora imprescindibile, per nobilitare uno straight-to-video decisamente meno artigianale dei corrispettivi d'oltreoceano.
Questa tendenza ha due fondamentali conseguenze. Da un lato ridà linfa a quel cinema di genere cattivo e politicamente scorretto che a Hong Kong non si vedeva da un po' di tempo. Non a caso ritorna il divieto ai minori e le pellicole appartenenti al «meta-genere» Cat. III fanno di nuovo capolino. Lo spiraglio commerciale ha soprattutto creato posti dove i veterani, messi da parte dalle logiche (co)produttive moderne, hanno la possibilità di lavorare in un regime di economia e tempi stretti che solo la loro esperienza è in grado di gestire.
Il ritorno del cinema di genere, non edulcorato dai dettami di Pechino, passerà di qui? Sembra proprio di sì, visto che Lau è il primo a non voler accettare, anche in fase di regia, troppi compromessi. La riprova sono le pellicole prodotte, poco pubblicizzate all'estero ma cantonesi al 100%, pensate e studiate per il pubblico locale che desidera emozioni «mordi-e-fuggi»: titoli poco impegnativi ma non superficiali, dove exploitation, abilità tecnica e schiettezza tornano finalmente a coesistere.