Categoria: FILM

Intruder è un thriller ricco di eccessi e di contrasti. Ma essendo un film appartente alla schiera dei Cat. III non ci si deve meravigliare molto. La cosa per cui stupirsi è invece la presenza nel cast di un nome illustre come quello di Wu Chien-lien: la star di origine taiwanese ci aveva infatti abituato a ruoli romantici o drammatici, ma comunque a personaggi dai sentimenti positivi e raramente si è abbandonata alla violenza gratuita (Beyond Hypothermia è l'eccezione che conferma la regola). Cosa ancora più sconcertante è che un'attrice di questo livello e di questa notorietà abbia accettato di sporcare la sua immagine impersonando una sadica omicida che imprigiona e tortura un tassista.
Intruder parte come un thriller, poi vira bruscamente, con l'entrata in scena della figlioletta dell'ostaggio, e nella storia si apre un'interessante parentesi melodrammatica, mentre nell'ultimo quarto d'ora si ritorna sui lidi della pura violenza con l'inevitabile bagno di sangue. La narrazione si mantiene sul tono dell'attesa, grazie ad un senso di claustrofobia crescente che investe lo spettatore. La maggior parte del film si svolge tra le mura della casa del tassista e, anche quando le scene sono riprese in esterni, è il clima (una pioggia fitta e incessante) ad essere sfruttato per mantenere costante la sensazione di angoscia e di claustrofobia. Ottima intuizione è l'idea di restringere l'azione a un luogo fisso, con una gestione della storia molto simile alla finzione teatrale, sfruttando gli spazi chiusi e le scenografie come limiti assoluti. Tutto quello che è insostenibile (in particolare la violenza più estrema) viene relegata al fuori campo e mostrata solo quando è già avvenuta.
La povertà del film è evidente, ma, come tutti i prodotti Milkyway, non è necessario avere tanti mezzi a disposizione se si può contare su ottimi attori - si fa notare un eccellente Wayne Lai - e una storia vincente. Tutto il resto è solo di contorno. Tsan Kan-cheung, al debutto come regista, dimostra prima di tutto il suo valore come sceneggiatore (al suo attivo più di quindici anni di onorata carriera), portando sullo schermo una storia molto semplice, che altro non è se non la rivisitazione del mito di Bonnie e Clyde in chiave fortemente femminile / femminista. Se infatti l'identità della coppia è ben presente e forte sin dall'inizio, l'epifania dell'elemento maschile del binomio avviene solo nel finale, quando proprio non se ne può fare a meno. Un film fortemente androgino che riserva ai personaggi maschili solo ruoli macchiettistici o disprezzabili, e che non concede alcuna possibilità di redenzione. Le colpe di un padre puttaniere e poco interessato alla famiglia non possono che ricadere sulla figlia, troppo piccola ma già destinata a subire e a conoscere cosa siano il dolore e il tradimento. In questo caso la differenza con il classico Cat. III, dove la violenza è gratuita e colpisce a caso, falciando soprattutto gli innocenti, c'è, anche se non si vede subito. L'unico omicidio che non è ricollegato all'espiazione è quello iniziale, ma è necessario per dare il via, motivandola, all'escalation di violenza.
Citazione obbligatoria anche per l'action director Yuen Bun, in meritata licenza da arti marziali e wuxiapian.

Hong Kong, 1997
Regia: Tsang Kan-cheung
Soggetto / Sceneggiatura: Tsang Kan-cheung
Cast: Wu Chien-lien, Wayne Lai, Moses Chan, Bonnie Wong, Yuen Bun