Non può esserci inizio migliore che venire accolti dallo sguardo trasognato di Michelle Reis (da Fallen Angels) a piena copertina. Hong Kong: il futuro del cinema non abita più qui è un agile libretto occasionato da una rassegna avvenuta nel 1996 per volere del Cineclub Black Maria, a Parma e in seguito a Ferrara. In quel contesto furono presentati 6 film - doverosamente recensiti a fondo volume (Chungking Express e Fallen Angels di Wong Kar-wai, The Killer di John Woo, Gunmen di Kirk Wong, A Chinese Ghost Story di Ching Siu-tung e Autumn Moon di Clara Law), con corredo di una velocissima rassegna dei registi più rappresentativi della ex-colonia inglese e un più polposo sguardo alla filmografia di Tsui Hark curato da Andrea Tagliacozzo. Ma il fulcro del volume non sono tanto le recensioni - seppure interessanti, quanto i diversi interventi che trovano spazio nelle pagine precedenti.
L'intento del volume era infatti prettamente introduttivo, per colmare un ritardo clamoroso di critica e pubblico che solo l'Italia è stata in grado di accumulare, rimanendo cieca di fronte alla forza espressiva di una intera cinematografia. «[...] La nostra visione cinematografica è limitata dal fatto che l'80% dei film che ci vengono proposti sono prodotti negli Stati Uniti, dimenticando quella vasta parte del mondo che è l'Asia (e non solo). Questo per dire che Hollywood non è l'unico luogo al mondo dove si produce il "grande cinema", e che Hong Kong ne è un degno rivale», nota infatti polemicamente Roberta Parizzi nell'introduzione. Ecco allora, oltre ad un excursus sulla situazione politica ad Hong Kong (si era alla vigilia della riunificazione), una serie di articoli piuttosto interessanti soprattutto per cercare un modo e sentire personali coi quali avvicinarsi a questa cinematografia.
«Tutto il sistema del cinema di Hong Kong è fondato rigorosamente sul corpo. E' il corpo a proporsi come costante motore dell'azione e i movimenti della macchina da presa non possono non essere in sintonia (e in sincrono!), in simbiosi estatica, con esso» scrive Giona A. Nazzaro parlando di spade e kung fu. «Sono film che pretendono assuefazione paradisiaco-visiva, e vi riescono bellamente. Possiedono un'autorevolezza divorante di colori, luci, fumi, ombre, velocità e fantasia che non può non incantare. Ma è l'incantamento del serpente più velenoso, perché poi ti ciuccia. Adesso, il bello di tutto questo è che non è poi così male essere ciucciati, anzi, è dannatamente godurioso» gli risponde indirettamente Pier Maria Bocchi in riferimento al cinema più estremo, ma con parole che smussate ben si adattano a buona parte dei film provenienti da Hong Kong. E alla fine c'è anche lo spazio per un'intervista ad Oliver Assayas, ora regista, ma a metà anni '80 co-curatore assieme a Charles Tesson di un seminale numero speciale dei Cahiers du Cinéma dall'esplicativo titolo Made In Hong Kong.
Hong Kong: il futuro del cinema non abita più qui è insomma un libro interessante - soprattutto come intruduzione, come stimolo iniziale che spinga ad approfondire le proprie conoscenze, più che come testo di riferimento vero e proprio - ed è stato un tentativo importante di riscoperta.

Autore: AA.VV. (a cura di Roberta Parizzi)
Casa Editrice: Stefano Sorbini Editore
Anno: 1996
Prezzo: L. 15.000
Pagine: 112
ISBN: 88-86883-05-6

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