Cronaca minima del cinema ad Hong Kong

1842La Cina cede Hong Kong all'Inghilterra in seguito alla Prima Guerra dell'Oppio
1896Il cinema viene introdotto in Cina
1898L'Inghilterra affitta alla Cina i Nuovi Territori (tra cui Hong Kong) per 99 anni
dal 1898Alcuni registi occidentali girano i primi cortometraggi ad Hong Kong
1909Primo cortometraggio cinese (Stealing the Roast Duck di Liang Shaobo) girato ad Hong Kong
1912Viene fondata la prima compagnia cinematografica cinese (ma con capitali esteri), la Huamei, da Li Minwei, Benjamin Polaski e Luo Yongxiang
1913Primo cortometraggio della Huamei (Zhuangzhi Shi Qui di Li Minwei)
1921Prima compagnia cinematografica con capitale interamente hongkonghese, la Minxin, fondata da Li Beihai e i fratelli Li Haishan e Li Minwei
1925Primo lungometraggio in assoluto, Yanzhi (Rossetto) di Li Beihai. Si tratta di un horror tratto da una famosa raccolta di racconti popolari fantastici, la Liaozhai Zhiyi
1933Primo lungometraggio in cantonese. Si tratta di Bai Jin Long (Il bianco drago dorato), ispirato all'opera cantonese


Per cercare di capire il presente del cinema di Hong Kong potrebbe essere cosa utile percorrerne brevemente la storia, cercando di comprenderne la filosofia di fondo, le sue fonti di ispirazione e il retroterra culturale di un paese a noi così lontano.
Quanto tempo trascorso da quel primo lungometraggio horror del 1925, eppure la storia al quale è ispirato è tanto attuale e sentita da essere stata riproposta in decine di altri film, negli anni successivi, fino al celebre e struggente Rouge di Stanley Kwan (1988). Cosa è successo dunque nel mezzo, quali le strade intraprese?
L’industria cinematografica ha una partenza tardiva. Le prime ombre elettriche (questa la definizione di cinema, dianying) iniziano a circolare con una certa regolarità solo dagli anni ’30, mentre prima sono predominanti pellicole occidentali o provenienti dalla fiorente attività di Shangai. La mano d’opera e i primi capitali arrivano infatti dai transfughi della madrepatria cinese, secondo successive ondate che segnano tutta la storia del protettorato britannico.
La prima è proprio negli anni ’10, in seguito alla proclamazione della Repubblica Democratica, quando numerosi esuli si affollano nella città.
Una seconda ondata, più cospicua, si ha a partire dal 1932, quando il Giappone invade la Manciuria, premessa della guerra sino-giapponese. È a partire da questi fatti che il cinema ad Hong Kong viene ad assumere un’importanza fondamentale. I produttori di Shangai vedono infatti nella città un buon trampolino per la conquista dei mercati del sud-est asiatico. Ed è da questi primi scorci che si viene a delineare il dualismo sempre presente tra un cinema in mandarino (la lingua ufficiale della Cina) e uno in cantonese (dialetto del sud, parlato nel Canton). Buona parte della storia filmica del paese è infatti segnata dalla "lotta" tra le due lingue, con esiti sempre incerti, che vede prevalere ora l’una ora l’altra. A grandi linee e molto schematicamente, il cinema mandarino è infatti più spettacolare, può usufruire di budget più elevati e di produzioni più curate ed è di matrice nazional-hollywoodiana, mentre quello in cantonese è più genuinamente popolare, povero, in un certo qual modo ingenuo, più radicato nelle tradizioni cinesi.
Dopo la pausa causata dalla terribile dominazione giapponese durante la seconda guerra mondiale (in cui l’Inghilterra abbandona la colonia, lasciandola a se stessa) - periodo di terrore e tentativo di assimilazione culturale di cui si possono ritrovare echi in molti film anche recenti - è con il 1949, anno della presa del potere di Mao Tse Tung e della fondazione della Repubblica Popolare, che si arriva alla terza grande ondata di profughi. Flusso di migrazione che non si esaurisce negli anni successivi, durante l’embargo americano alla Cina a causa della guerra di Corea e durante il boom economico degli anni ’60 nel protettorato britannico.
Tramite questo continuo fluire di nuova manodopera si crea nella città-stato il clima ideale alla formazione di un cinema specifico. Inizialmente due generi hanno il sopravvento. I film ispirati all’Opera Cantonese, in cui divi del teatro vestono i panni di personaggi tradizionali in film in costume (e dall’avvento del sonoro non raramente sono film musicali), e quelli che in occidente verrebbero definiti film "di cappa e spada", i wuxiapian (film di cavalieri erranti). In un primo tempo, dal 1937, sono girati wuxia in cantonese, ma scevri da quegli elementi fantastici tanto in voga fin dagli anni ‘20 nel cinema di Shangai. È solo dal 1949, grazie alla malevolenza dei comunisti e dei circoli di sinistra, che nei wuxia vedono un elemento destabilizzante ed aspetti lontani dal realismo sociale allora imperante, che nel "rifugio" hongkonghese si assiste all’uscita dei primi film di cavalieri con elementi prettamente fantastici. Film come The Flying Swordsmen of O-Mei, The Knights-Errant of Mystical Powers, The Flying Swordsmen's Bloody Battle at Zhou Village (tutti del 1950) o The Magical Flying Swordsmen (1951), già dal titolo presuppongono un approccio privo di pretese realistiche. I protagonisti di tali pellicole possono compiere lunghi balzi, usano spade magiche e pugnali volanti. Si assiste a scontri tra maghi buoni e cattivi con magie tra le più bizzarre (evocazione di animali mitici, armi racchiuse in strani ectoplasmi, esorcismi e maledizioni), animate in modi ingenui ma efficaci, solitamente visualizzate tramite disegni a mano fatti direttamente sui fotogrammi della pellicola. Al contrario i wuxia in mandarino di questi anni sono più smaccatamente realistici ma hanno il pregio di ispirarsi alle nuove novelle wuxia che stanno uscendo dagli anni ’40 in Cina e a Taiwan (alcuni esempi possono essere Female Robin Hood del 1947, Young Heroes o Revenge of the Great Swordsman entrambi del 1949).
La suddivisione cinema fantastico in cantonese / cinema realistico in mandarino (sempre da prendere come schema generale), perdura fino agli anni '60, decennio in cui progressivamente viene alla luce un nuovo stile di narrare le storie tradizionali. Gli stilemi classici e la messa in scena vengono rinnovati. Il pubblico esige trame più complesse, storie più romantiche, una tecnica più sofisticata, e questo significa in buona parte il tramonto temporaneo dell’ingenuo cinema cantonese (che pure continua a sfornare film, come The Golden Hairpin di Chen Liepin o Burning of the Red Lotus Monastery di Ling Yun, entrambi del 1963). Le trame si complicano e ad un maggior realismo si assommano una violenza e un individualismo acuiti, sull’onda dei ben più violenti film giapponesi di samurai (i chambara) e dei western (soprattutto degli spaghetti-western italiani). Oltre a questo assume maggior risalto la figura del coreografo. Le scene di combattimento si moltiplicano e nel realismo si insinua una spettacolarizzazione dei movimenti delle armi e dei corpi. E' una coreografia di derivazione operistica, in cui i movimenti dei corpi nello spazio vengono organizzati secondo stilemi precisi e viene tenuto conto dei loro rapporti reciproci. Tra l’altro è del 1961, nel film The Swallow, grazie al genio del martial-arts director Han Yingjie, l’introduzione dei trampolini elastici nascosti e di altri artifici tramite cui gli attori potevano spiccare enormi balzi e fare altre acrobazie.
Così il cinema mandarino da un parte esaspera il realismo e la violenza (esempi ne sono The Golden Eagle di Chen Jingbo e The Last Woman of Shang di Yue Feng del 1964, Tiger Boy del 1964-66 e The One-Armed Swordsman del 1967, entrambi di Chang Cheh ), dall’altra si avvicina ai modelli cantonesi (Bells of Death del 1968, The 14 Amazons del 1972).
Altro cambiamento in atto proprio in questi anni, superate le influenze del melodramma e dell’egualitarismo di derivazione taoista, è la sostituzione in ruoli da protagonista della figura femminile con quella maschile, spesso più esasperata e fisicista. Non a caso compaiono anche figure di eroi menomati o impossibilitati che nonostante tutto si fanno strada nella vita. Spadaccini monchi, orbi, storpi, gobbi sono in grado di battere orde di avversari "normali". Il ritorno ad un ruolo centrale della donna si avrà solo dalla metà degli anni ‘80 con il sottogenere femme fatale, ma con un significato generalmente diverso.
Intanto a partire dal dopo-guerra, al wuxiapian si aggiungono altri filoni che vanno ad insidiare la predominanza dei film di cavalieri erranti. L’horror, il gotico, il fantastico di stile mediorientale, fanno il loro ingresso nel cinema locale, portando nuova linfa e aprendo la strada a nuove contaminazioni. Life and Death di Zhu Shilin e The Haunted House di Ma-Xu Weibang del 1949, Witch, Devil, Gambler di Shu Shi del 1952, The Golden Lotus di Yue Feng del 1957 fino ad arrivare al capolavoro romantico The Enchanting Shadow di Li Han-hsiang del 1960, oggetto di remake da parte del Ching Siu Tung di A Chinese Ghost Story (1987), fanno parte di un filone in mandarino. Stilisticamente più compiuti e avvalendosi di budget più elevati, sono la riproposizione di antiche novelle tradizionali. Il fantastique-horror in cantonese, è invece più povero e con effetti speciali artigianali, ed è incentrato ancora di più sulla commistione di generi, con anche storie di tradizione araba stile Mille e una notte. The Ghostly Wife di Zohu Shilu del 1953, The Headless Queen Bears a Son, serial in 3 parti del 1957, The Magic Eyed Queen Spots the Prince di Zhu Ji del 1959, The Haunted Night di Zhang Yin e Cai Chang (tra l’altro pesantemente debitore di La donna che visse due volte di Hitchcock) del 1962.
Queste pellicole amalgamano i film in costume classici con ambientazioni gotiche a tratti inquietanti ed elementi fantastici soprannaturali. Sarà però solo a partire dal 1974, anno in cui viene distribuito anche in oriente L'esorcista di William Friedkin (di cui viene subito realizzato una sorta di remake, The Devil in Her di Zhang Sen), che l’horror prende una sua forma precisa, senza mai prescindere dalle onnipresenti contaminazioni. Si hanno quindi esempi di film gotici-horror quali Ghost Eyes del 1974 o Spirit of the Raped del 1976 di Gui Zhihong, oppure incursioni nel gore con la serie aperta da Black Magic (1975), o ancora commistioni con i film in costume. È poi dal 1980 che si assiste al dilagare della commedia nell’horror con i due capostipiti del genere, Encounters of the Spooky Kind e The Dead and the Deadly (in entrambi mette la mani il geniale Sammo Hung), e con la nascita della serie di Mr. Vampire (il primo film è del 1984, ma la serie tra seguiti e spin off conta almeno una quindicina di titoli), che mescola la figura tradizionale del jiangshi (sorta di zombie/vampiro saltellante) con inserti comici, film in costume e tratti di melò.
In ogni caso, con il passare del tempo il mercato cinematografico, invaso da centinaia di pellicole nuove ogni anno (solo gli Shaw Brothers, negli anni ’60 e ’70 il più grande feudo di produzione presente in città, producevano una media di 40/50 film all’anno), raggiunge una saturazione parossistica, soprattutto grazie anche allo sviluppo dei film di arti marziali con combattimenti a mani nude, i gongfupian. Questo genere, i cui prodromi si hanno negli anni ’50 e ’60, raggiunge il suo fulgore nel triennio 1971/1973. Il successo è planetario e la figura trainante, cosa intuibile, è Bruce Lee.
Il gongfupian, seppure a prima vista possa sembrare simile al wuxiapian, porta con sé grandi germi di differenziazione. Per la prima volta in modo sistematico l’ambientazione è contemporanea, urbana. C’è un aumento del manicheismo di fondo tra buoni e cattivi e l’individualismo viene esasperato fino ad essere esportabile anche nel resto del mondo. Nonostante questo, anche i gongfu sono perfettamente inscrivibili nel genoma culturale orientale (valga per tutti il lunghissimo finale de The Way of the Dragon del 1972, con lo sfibrante duello all’ombra di un Colosseo ricostruito in studio tra Bruce Lee e Chuck Norris che simbolizza l’eterna opposizione tra oriente ed occidente) e senza dubbio valgono a sublimare le voglie di riscatto della popolazione più umile. Le trame infatti sono quasi sempre incentrate su un debole/ingenuo che, sfruttando l’unico bene che possiede, il suo corpo, ne fa il tramite per vendicarsi delle ingiustizie subite.
Dal 1974 inizia la lenta ma inesorabile rivincita del cinema in cantonese (ormai divenuto la lingua della media borghesia) e al contempo si assiste all’esplosione dei generi, processo irreversibile che ha portato nell’arco di un ventennio al completo fallimento di ogni tentativo classificatorio. Il cinema di Hong Kong inizia a presentarsi come un unico mega-genere, e non è un caso che Shu Kei, regista di punta ed acuto osservatore della società che lo circonda, si esprimesse in questi termini: "Il cinema di Hong Kong non può che essere preso nella sua interezza. È impossibile concentrarsi esclusivamente su una singola angolazione".
Ma cosa ha portato a questa commistione? I fattori sono certamente diversi, difficilmente analizzabili criticamente. Alcuni elementi sono sicuramente il diffondersi dell’horror nelle sue diverse sfumature e l’ampliarsi delle contaminazioni in questo senso, e l’arenarsi del gongfu nel mare della ripetitività, presto soppiantato dalla gongfu-comedy (i cui massimi campioni saranno proprio Sammo Hung e Jackie Chan), la cui sperimentazione e ricontestualizzazione cambierà perennemente faccia al genere.
Ma forse - soprattutto - gran parte della colpa/merito è da far ricadere sull’avvento proprio in questo periodo di una nuova generazione cresciuta in uno stato di continua ibridazione, sospesa tra Cina e occidente, cantonese e mandarino, passato tradizionale / folklorico e futuro tecnologico.
E' proprio da questa generazione che provengono i responsabili di un completo stravolgimento (ma sempre rispettoso della tradizione), che, in un decennio di crescita costante, porterà i suoi frutti a completa maturazione solo negli anni '90. I generi si moltiplicano (fanno la loro comparsa l’heroic bloodshed, la modern day action, il sottogenere femme fatale...) e al contempo si amalgamano. La norma diventa lentamente la commistione. Nello stesso film sono ravvisabili diversi elementi, in un connubio inestricabile di commedia, romanticismo, azione, coreografia, fantastique, poliziesco, horror, thriller, erotismo e quant’altro. Nei film più riusciti, l’eccesso pare convivere con un insanabile equilibrio, tanto che anche nelle pellicole in cui l’acceleratore viene spinto al massimo, si affronta la visione con uno strano senso di linearità. Campioni di questa nuova visione, una vera e propria nouvelle vague, sono i vari Michael Hui, Allen Fong, Ann Hui, Patrick Tam, Jacob Cheung, Tsui Hark, nonché Ching Siu-tung, Sammo Hung, Jackie Chan, John Woo, Kirk Wong, Ringo Lam e, perché no, Wong Jing - insieme a decine di altri.

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