A Place to Call HomeIvy, bella, brava e ricca, in procinto di diplomarsi e di farsi impalmare dal fidanzato Guo Lian, scopre che i suoi genitori l'hanno adottata e che sua madre è una povera donna sfruttata da un marito arcigno e nullafacente. Desiderosa di starle vicino, Ivy abbandona il tetto sotto cui ha vissuto per vent'anni e si trasferisce nello squallido appartamentino di periferia, solo per scoprire che il patrigno è un poco di buono che dalla bellezza di Ivy conta di guadagnarci di che vivere.
Con A Place to Call Home il melodramma degli anni '40 e '50 prende una nuova piega, torna alle sue umili origini, esalta il contrasto sociale di classe e, a distanza di pochi minuti, perde e ritrova l'innocenza dei buoni sentimenti familiari, scavando un solco tra due società. Da un lato i ricchi ed educati mandarini, cui il film è tutto sommato destinato, dall'altro gli strati bassi della società, cantonesi, costretti dall'indigenza alle peggiori bassezze, come prostituzione, sfruttamento, violenza, gioco d'azzardo.
Il ritratto di due mondi in parallelo è evidentemente dispari: se le figure materne sono altrettanto tragiche quelle paterne hanno due ruoli all'opposto: il bieco popolano nulla può contro il ricco gentleman che tratta la figlia adottiva alla stessa stregua delle due di sangue. Da un lato un uomo (in)cattiv(it)o, dall'altro un signore distinto che ha un unico momento di debolezza, dopo aver pazientato e sopportato, ed è ripagato con una (tediosa) dichiarazione d'intenti finale da parte della pupilla, che (ri)dimenticata la vera madre ammette il proprio amore per chi l'ha cresciuta e cerca di convincere tutti i compagni di scuola della sua sincerità.
Dramma squisitamente morale, supportato da una regia precisa che appena può inserisce rimandi, didascalie, moniti, perlopiù canori (grazie anche alle pregevoli doti di Li Ching, ingenua e spontanea in un ruolo che le calza a pennello; ancora meglio le bizzosa Margaret Hsing, la sorella ingenua, e il losco Yeung Chi Hing, caratterista da incorniciare), come l'epifania di due piccoli abbandonati a se stessi che, ricevuto l'obolo sperato, cantano di notte in strada la loro dolorosa situazione. Confezione adeguata, elegante, sontuosa; contenuti retorici, retrogradi, vetusti, rigorosamente non al passo con i tempi: la netta distinzione però funziona e scolasticamente crea un conflitto aprioristico che non mette mai in discussione i ruoli in gioco, da un lato i retti, i facoltosi, i probi, dall'altro i malvagi, i disonesti, gli infelici.

Hong Kong, 1970
Regia: Wu Jiaxiang
Soggetto / Sceneggiatura: Fong Yat
Cast: Li Ching, Margaret Hsing, Chan Yi Ling, Go Bo Shu, Tong Jing

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