City HunterIl detective privato Ryu Saeba (in cantonese Mang Po), donnaiolo impenitente, pigro, perennemente in cerca di cibo, è ingaggiato da un magnate giapponese affinché gli ritrovi la giovane figlia ribelle, scomparsa all'improvviso. Sulle sue tracce, Ryu e la sua assistente Kaori, da sempre innamorata di lui - e ogni volta inevitabilmente delusa -, si imbarcano su una nave da crociera per miliardari infestata da terroristi decisi a rapire i ricchi e a eliminare i poveri. Aiutato da un misterioso giocatore d'azzardo e da una sensuale poliziotta sotto copertura, Ryu dovrà sventare il folle piano dei criminali.
Tratto dall'omonimo popolare manga e prodotto da quel Chua Lam addetto in seno alla Golden Harvest ai rapporti con il Giappone (già responsabile di un altro famoso adattamento da comic a pellicola, Peacock King), City Hunter traspone bene la comicità immatura della fonte su grande schermo. Merito della regia di Wong Jing, per la prima volta alle prese con l'atletismo di Jackie Chan: al contrario del previsto, tra i due, il cui operato lavora su simili corde d'ingenuità, non scocca la scintilla1. Il problema principale della pellicola è la sua disfunzionalità: troppo altalenante, poco avvincente, con eccessivi cambi di ritmo, finisce per stancare, come uno spettacolo circense intervallato da troppo momenti di stanca.
Le scene d'azione, coreografate come meglio non si può da Ching Siu-tung e interpretate con il solito vigore dal protagonista, alla fine rimangono l'unico motivo di interesse. I siparietti comici, il tono generale da festa goliardica (compreso un improvviso e interminabile video-clip musicale), i cammeo sopra le righe (in particolare Michael Wong), le gag scatologiche (sul seno di una delle interpreti femminili) e i momenti di puro razzismo (contro i cattivissimi gweilo) non sono degni del talento di Wong Jing. Questi, probabilmente tarpato dalla necessità di concedere spazio alla superstar, non trova la vena giusta per disimpegnare la storia principale. Riesce a malapena a salvare il cast femminile - strepitosa Joey Wong, più di maniera Chingmy Yau -, e a sottolineare le citazioni, autoreferenziali - il personaggio di Leon Lai, riesumato da God of Gamblers III - The Early Stage -, videoludiche - in un combattimento i duellanti si trasformano in personaggi di Street Fighters II - e metacinematografiche - per sconfiggere un nemico nero Ryu si ispira a Bruce Lee in Game of Death, proiettato in quel momento. Alla fine la regia riesce nel difficile compito di scontentare tutti, i fans del protagonista, le cui evoluzioni sono filmate troppo bene per poter essere godute nel loro realismo, e i suoi, abituati a ben altro tipo di smorfie, sottigliezze e oltraggi.

Note:
1. L'esperienza è talmente negativa che Jackie Chan non vorrà mai più avere a che fare con Wong. Il quale qualche anno dopo, con High Risk avrà modo di dire la sua sul popolare attore in maniera oltraggiosa, inimicandosi ulteriormente Chan.

Hong Kong, Giappone, 1993
Regia: Wong Jing
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Jing
Cast: Jackie Chan, Joey Wong, Chingmy Yau, Kumiko Goto, Leon Lai

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