Danger Has Two Faces Dopo due capolavori agli esordi (Cops and Robbers e Man on the Brink) Alex Cheung approda alla major per eccellenza, gli Shaw Brothers, grazie ai quali, dopo una parentesi alleggerita (Twinkle Twinkle Little Star), torna all'azione urbana a lui più congegnale. Con Danger Has Two Faces mette a confronto (pochi) poliziotti onesti e (troppi) poliziotti corrotti, alle prese con un killer - anche lui un tempo nel corpo, da cui è stato espulso per aver ucciso per sbaglio un innocente - e una gang di spietati mainlanders cinesi. Riprendendo alla lontana il tema di Serpico di Lumet, il regista prova a inscenare una dramma umano dove i fallibili tutori dell'ordine, guidati da un collega istruito in America, sagace ma tavolta eccessivamente ingenuo, sono costantemente messi alla prova, senza troppe speranze di salvare la faccia.
Dopo un programmatico prologo secco e cruento, Cheung innesca uno strano crocevia di contraddizioni, inserendo pesanti stacchi comici e distorcendo il punto di vista incompromissorio della New Wave. Il gioco funziona nel momento in cui l'ironia colpisce all'improvviso e lascia di stucco lo spettatore: come quando dopo una cruenta sparatoria l'inquadratura si apre e la presunta scia di sangue si rivela per quel che è, una semplice macchia di vernice. La contrapposizione di estremi - l'eccesso di violenza e il grottesco1 - porta ad un esasperazione iper realistica della foga e della crudeltà del noir di inizio anni '80. La parodia è dunque l'ultma tappa prima della nuova scia di sangue dell'imminente seconda ondata, che passerà per le iperboliche sparatorie di John Woo, le estetizzazioni del primo Wong Kar-wai e il piglio aggressivo di Ringo Lam. Cheung, i cui precedenti lavori (soprattutto certi siparietti divertiti in Man on the Brink) sono in questo senso significativi, non ha mai fatto mistero di amare stacchi surreali per allentare - e per contrappasso sottolineare - la tensione nervosa delle situazioni proposte. Non sempre il difficile parallelismo giova al ritmo narrativo, ma le esplosioni di crudeltà - il gore in primissimo piano - e le divagazioni patetico-drammatiche sono tali e tante da nascondere senza troppi fronzoli molti dei dubbi legittimi. Fortemente dispari, Danger Has Two Faces si giova della luce sinistra di una Hong Kong che mostra per l'ennesima volta il lato marcio del boom economico; della discreta interpretazione - più muscoli che cervello - di un cast composto perlopiù di pugnaci caratteristi (illuminati ad uno ad uno nella geniale presentazione del distretto nel caos); di una colonna sonora o sintetica o canto-pop; delle coreografie (anche esagerate: alcuni stunt troppo ricercati non si sposano bene al contesto impoverito) ardite e ben realizzate; di una mente nell'ombra a suo agio con la materia in questione, un astuto burattinaio più vivace dietro la macchina da presa che in fase di sceneggiatura.

Note:
1. Non è una novità né un espediente del tutto originale, piuttosto un'evoluzione necessariamente del genere che progressivamente si trasforma. Cfr. Carlos Clarens - Giungle americane - Il cinema del crimine (Arsenale Cooperativa Editrice, 1981 - pagg. 273-274): «I polizieschi degli anni '70 hanno sottolineato l'umanità del poliziotto, talvolta anche la sua eccentricità. [...] Spesso i fatti fornivano una nota ironica ai film [...].» Il curioso poliziotto protagonista del di poco precedente Red Panther di Kong Lung ne è un ottimo esempio.

Hong Kong, 1985
Regia: Alex Cheung
Soggetto / Sceneggiatura: Alex Cheung, Yuen Gai Chi
Cast: Carroll Gordon, Leung Kar Yan, Paul Chu, Bei Cheung, Cheung Ming Man

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