Dragon Gate InnDragon Gate Inn segna l'abbandono degli Shaw Brothers da parte di King Hu e l'approdo alla Union Film Company di Taiwan. Il cambiamento porta bene al regista, che realizza il suo maggiore incasso, imponendosi come nome di riferimento per la rinascita del wuxiapian. Hu porta a maturazione il suo modo di essere autore nei generi: compaiono qui per la prima volta i tratti tipici del suo cinema, i fuori campo e i raccordi spezzati cui un montaggio innovativo conferisce un'ipotesi di velocità superiore al reale. Ambientato durante la dinastia Ming (circa 1450), Dragon Gate Inn narra le gesta di quattro valorosi spadaccini che devono proteggere i figli, esuli e perseguitati, di un funzionario di corte ingiustamente condannato a morte. A tirare le fila un malvagio eunuco a capo della setta Tung Chong (organizzazione storicamente esistita, una specie di polizia segreta imperiale), un uomo spietato e abilissimo nell'arte del combattimento che si avvale di due comandanti altrettanto potenti.
La poetica di King Hu prevede la continua proposizione del contrasto tra Dao (il Bene) e Mo (il Male)1, una lotta serrata e indispensabile. Le due componenti sono ben riconoscibili e la frattura tra esse indissolubile. Moralmente il Bene si situa una spanna più in alto, e i comportamenti dei paladini sono retti e indiscutibili, mentre il Male, mostrando subito la meschinità del suo vero volto (l'ecatombe di soldati presenti alla locanda, colpiti a tradimento), si espone alla condanna e al biasimo del pubblico. Il capitano, che fa le veci dell'eunuco per buona parte della pellicola, agisce in maniera subdola, utilizzando inganni e trabocchetti per eliminare gli avversari. I quali con un po' di fortuna e con astuzia riescono sempre a sventare le minacce e a girare le situazioni a proprio vantaggio (la scena del primo avvelenamento del vino). Se il Bene è supportato dallo spirito ed è più nobile, la metà oscura è fisicamente molto più potente.
La locanda torna ad essere elemento centrale della narrazione. L'ambiente chiuso esalta le capacità di King Hu, di formazione classica a base di opera cinese, che legge le quattro mura come sfida cinetica. La musica riveste ancora un ruolo primario - la tecnica del bangzi qiang, basata sul battito delle mani -, donando vigore alle immagini. In un processo di ripetizione che non è mai stagnante sta la forza di Hu, abile a riproporre temi e contenuti e a rielaborarli secondo sfumature differenti. Gli attori sono parte del meccanismo: i protagonisti sono quasi sempre gli stessi interpreti, seppure con ruoli diversi, di pellicola in pellicola.

Note:
1. Stephen Teo - Hong Kong Cinema - The Extra Dimensions (British Film Institute, 1997 - pagg. 87-91); Alberto Pezzotta - Tutto il cinema di Hong Kong (Baldini & Castoldi, 1999 - pag. 94).

Hong Kong, Taiwan, 1967
Regia: King Hu
Soggetto / Sceneggiatura: King Hu
Cast: Polly Kuan, Hsu Feng, Shih Jun, Pai Ying, Tin Peng

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