Drunken MasterAncor più che nel precedente Snake in the Eagle's Shadow, in buona parte ancora iscritto nel solco del passato, Jackie Chan e Yuen Woo Ping con Drunken Master, pur ripresentando lo stesso cast, si divertono a smontare pezzo a pezzo la tradizione del cinema di arti marziali - centrando in pieno l'obbiettivo, almeno a considerare l'ampio riscontro al botteghino. Presa una figura storica reale e tanto sentita dai cinesi come quella di Wong Fei-hung, protagonista di decine di trasposizioni cinematografiche, il team produttivo si diverte a rivoltarne l'immagine rendendolo uno scavezzacollo un po' sbruffone che non ci pensa due volte ad attaccare briga con tutti, confidando nella sua abilità.

Non ci vorrà molto perché il padre - soprattutto dopo che Wong ha picchiato il figlio di un potente vicino e ha insidiato, per gioco e senza saperlo, sua cugina - lo spedisca a studiare sul serio da un famoso maestro (interpretato tra l'altro dal padre del regista, Yuen Siu Tin), rinomato per la sua severità e per il suo stile di lotta ubriaco. Anche lui avrà in ogni caso il suo bel daffare per tenere sotto controllo l'esuberanza del ragazzo.

Naturalmente la presa in giro è bonaria e in gran parte solo apparente. Il Wong di Jackie Chan è forse più scapigliato di quanto tramandi la storia, ma assistiamo a una crescita morale che lo porta alla maturazione, al suo divenire uomo. Un bildungsroman dal vago sapore taoista - non è forse l'incarnazione del saggio taoista So, che vive lontano dalla società e il cui stile di lotta è un'applicazione (pur se molto all'acqua di rose) del precetto paradossale di Lao Tze di dissimulare il proprio reale valore? - che concentra i suoi sforzi nel passaggio dalla spensieratezza dell'adolescenza alle responsabilità dell'età adulta, in questo peraltro rinsaldandosi con il confucianesimo, che voleva un'attenzione particolare alla famiglia e al rispetto filiale. Se allora la morale è meno banale di quanto sembri a prima vista, risulta comunque chiaro come non sia quello l'obbiettivo principale della narrazione, che rimane pur sempre divertire e divertirsi. In questo è perfetto l'intreccio non troppo sviluppato, un canovaccio risicato all'osso nel quale inserire a piacimento siparietti comici o lunghe sequenze di combattimento.

Il tutto acquista però un senso e una sua unitarietà grazie alla figura centrale di Jackie Chan, in grado con le sue smorfie da burlesque e la sua presenza corporea di rinsaldare le fila di una storia altrimenti ondivaga e nonostante tutto piatta. Non è quindi un caso che proprio Drunken Master abbia fatto scuola e sia stato preso a modello dallo stesso Jackie per buona parte dei suoi film futuri, perlomeno nella prima parte della sua carriera. Un attenzione nascente per gli spazi e soprattutto per gli oggetti, unita alle sue doti acrobatiche, rendono il palcoscenico delle inquadrature un vero e proprio luogo di sperimentazione della plasticità e dei limiti del corpo, in un gioco continuo di coreografie sempre più complesse. La regia di Yuen Woo Ping, prima della rinascita negli anni '90 grazie all'impegno produttivo di Tsui Hark, è qui salda e funzionale, anche se non spicca mai per particolari qualità narrative o precise scelte stilistiche, adeguandosi invece alla semplicità di intenti decostruttivista che regola la nascita della gongfu-comedy.
Nel bene e nel male, un classico.

Hong Kong, 1978
Regia: Yuen Woo Ping
Soggetto / Sceneggiatura: Ng See Yuen, Hai Wa On, Siao Lung
Cast: Jackie Chan, Simon Yuen, Hwang Jang Lee, Lam Kau, Yuen Shun-yi

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