Enter the PhoenixPer la sua seconda prova dietro la macchina da presa, la prima in solitaria e alle prese con il lungometraggio, Stephen Fung assolda tutti gli amici disponibili e mette in piedi una commedia d'azione che prende in giro le triadi e il loro codice d'onore. Premesse simili a uno Young and Dangerous qualsiasi, se non fosse che il figlio del boss morente è gay dichiarato e, oltrettutto, non smania per prendere le redini del comando. Lo sostituisce ad interim l'amico del cuore, felice come una pasqua di poter comandare a bacchetta decine di uomini e di poter coronare il sogno (di gloria) di una vita vissuta in miseria. Ci sono ovviamente il nemico cattivissimo, indurito da un'antico torto, la figlia del capogang rivale, zitella alla ricerca di amore e successo sul lavoro, il braccio destro saggio e fedele e lo scapestrato rascal sfigato ma di buon cuore.
Enter the Phoenix è sin dal titolo provocatorio una pellicola segmentata, squilibrata, dove commedia, azione, ricerca del grottesco e dramma familiare si scontrano con la patina mainstream di prodotto ambizioso e con l'inesperienza del regista, coadiuvato per colmare le sue (poco evidenti) lacune dai migliori tecnici sulla piazza. Lo spunto di partenza è malevolo, ossessivo, sfruttato con cinismo su uno sfondo camp ricco di clichés, ovvietà e satira politicamente corretta. Al giovane Fung non manca il talento, ma ancora non riesce a coniugare senza fratture tutti gli umori esterni che emula e mitiga: gli vengono stranamente meglio i momenti emotivamente carichi, le parentesi serie, intense, melodrammatiche, dove può riflettere, anche via metafora e senza la costrizione della risata facile, circa la fragilità di vedute tra padri e figli. Il lato macchiettistico, sbandierato in copertina come prima attrazione, manca allora di ritmo, costretto ad accontentare troppi personaggi assortiti male, senza misura e privi della flessibilità per interagire comicamente tra di loro.
Dopo l'esordio semi-sperimentale Fung sembra voler dimostrare a tutti i costi di sapersi barcamenare tra generi e commercialità: i buoni incassi gli danno ragione a fronte di un cast promettente ma tutto sommato rischioso visto che mancano vere e proprie star. Risalta Daniel Wu, mentre Eason Chan e Karen Mok fanno un mezzo passo indietro. Quando sono in scena i caratteristi - Chapman To in coppia con l'irresistibile Law Kar-ying; Chan Wai Man avvizzito e convincente; le guest star Jackie Chan, Nicholas Tse, Lee Lik-chi e Sam Lee - si sale di livello e la narrazione, anche basandosi su gag triviali e barzellette spicciole, ne trae grande giovamento. Ciliegina sulla torta, le splendide coreografie marziali ideate da Ma Yu Sing, che chiudono in bellezza l'opera: mirabolanti e anti-realistiche, di grandissimo spessore dinamico, aumentano la velocità dell'opera e aiutano il pubblico - già invogliato dal montaggio di Pang Ching Hei, dalla fotografia di Poon Hang Sang e Tsou Lin Yau, dalla direzione artistica di Mak Kwok Keung e dalle musiche di Chan Kwok Wing - a dimenticare presto qualche incertezza precedente.

Hong Kong, 2004
Regia: Stephen Fung
Soggetto: Stephen Fung
Sceneggiatura: Law Yiu Fai
Cast: Daniel Wu, Eason Chan, Karen Mok, Law Kar-ying, Chapman To

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