Final JudgementNello stesso anno di Legal Innocence e Remains of a Woman, che trattano temi liminali e altrettanto violenti, Otto Chan confeziona un thriller giudiziario che oltrepassa senza ritegno i confini dell'exploitation. Au Ping Keung è un tranquillo padre di famiglia sull'orlo del proletariato; vive con la moglie Fung e la figlia Ming Ming in un piccolo appartamento - subaffittando una camera a una ragazza - e lavora come tecnico nel retrobottega di una gelateria. La sua vita viene sconvolta quando, nuda e all'interno di una scatola di cartone, viene ritrovata una donna, brutalmente assassinata. La polizia lo incrimina e si arriva al processo, nonostante Ping Keung continui a negare ogni coinvolgimento; nelle mani dei giudici ci sono solo prove indiziarie (ad esempio le fibre di un vestito), né un movente, né tantomeno un testimone. Subendo continue torture e bassezze di ogni grado, la vita privata di Ping Keung viene rivoltata come un guanto, con gli accusatori che portano alla luce ogni possibile legame scabroso nei difficili rapporti coniugali, paventando possibili instabilità caratteriali.
Meno sesso e nudità che nel precedente Pink Lady, meno violenza trasudata e coatta che nel successivo Diary of a Serial Killer, The Final Judgement è pellicola più controllata, forse per il residuato di storia vera cui si aggrappa (con tanto di ambientazione "in costume", siamo negli anni '70), o forse semplicemente per il cast dei protagonisti: non tanto per Simon Yam, un habitué del genere (Dr. Lamb, di Danny Lee, 1992), quanto per Cecilia Yip, che comunque segue la parte con estrema dignità e decoro. In effetti, l'impressione è di una tensione irrisolta tra la denuncia sociale del degrado cui sono ormai assuefatte le classi disagiate e semplici espedienti per mostrare quante più tette ed efferatezze possibile. Naturalmente parrebbe prevalere la seconda istanza, con la prima a svolgere un ruolo solo incidentale, ma paradossalmente - proprio come nel caso dei primi film di Billy Tang (Run and Kill, Brother of Darkness, Red to Kill) - con quanta più irruenza e dissennatezza vengono buttati sul crogiolo elementi scabrosi fini a se stessi, tanto più ne risulta un quadro sincero e descrittivo, per quanto squallido, della risibile cedevolezza morale nei suburbi cittadini. Ritratto involontario, forse, ma eccessivo - credibile non tanto nel suo goffo sovraccarico di voyeurismi, quanto nella esplicita durezza, non compromessa con necessità intellettuali. Per il resto c'è poco da salvare: una noiosa trasposizione delle indagini, psicologie scontate e una messa in scena, se non totalmente impersonale, quanto meno affrettata.

Hong Kong, 1993
Regia: Otto Chan
Soggetto / Sceneggiatura: Philip Cheng, Choi Ting Ting
Cast: Simon Yam, Cecilia Yip, Paul Chun, Kenneth Tsang

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