Fist PowerIl grosso guaio di un certo tipo di cinema commerciale è l'idea che un film d'azione debba per forza conformarsi a determinati canoni (occidentalizzati) per piacere al pubblico. Fist Power è esempio calzante dell'assioma: combattimenti, sparatorie e esplosioni, un po' di arti marziali, tutto mescolato per servire un cocktail insipido. Si capisce subito che non sarà un capolavoro: Anthony Wong gioca felice con il suo figlioletto finché i cattivi di turno glielo rapiscono cosicché il vero padre (Wong è solo l'affidatario), un losco figuro con ammanicamenti sospetti, possa portarlo in America e ottenere una cospicua eredità. Il patrigno impazzisce per il dolore e prende in ostaggio gli alunni di una scuola elementare, chiedendo come riscatto di poter rivedere il bambino. A questo punto entrano in scena i buoni, Zhao Wen-zhuo, Gigi Lai e Sam Lee, che senza un vero motivo si offrono di strappare il bambino alle grinfie dei genitori per riportarlo al ricattatore.
Una storia che non sta in piedi, ricca di incongruenze e di strafalcioni, con personaggi costruiti con l'accetta che sanno solo menare (male, con l'unica eccezione di Zhao) pugni e calci. Nessuno si stupirà una volta appurato che dietro a tutto c'è Wong Jing, uomo ovunque del cinema cantonese, produttore e regista tra i più criticati (e criticabili, in casi come questo). L'esperto Wong, che - sia chiaro - non ha alle spalle solo brutti film, cede la regia al fiduciario Aman Chang, il quale non delude il suo mentore, confezionando un prodotto piatto, diretto malissimo e montato anche peggio. I combattimenti sono girati staticamente ma combinati alla velocità (assurda) di un videoclip: il connubio non giova, distruggendo quel poco senso del ritmo che la prestazione fisica del protagonista riesce a creare.
Anche come direttore d'attore Chang fallisce su tutta la linea, riuscendo a imbambolare volti in qualche modo interessanti. Sam Lee (la cui battuta migliore, rivolto a Gigi Lai che si mette alla guida della sua macchina, è la triste: «Se non ti fai da parte mi tocca stuprarti!») è sprecato; Anthony Wong, in un ruolo da loser pessimista, pure; Zhao ne esce con le ossa rotte. Le ambizioni di fare una versione satirica e più movimentata di The Longest Summer, da cui sono tratti molti spunti, falliscono sin dal primo fotogramma. Wong Jing ha però ottenuto il suo scopo, ha sbeffeggiato chi lo disprezza e ha portato a casa qualche soldo con il suo cinema usa e getta, da guardare e subito dimenticare.

Hong Kong, 2000
Regia: Aman Chang
Soggetto / Sceneggiatura: Aman Chang
Cast: Zhao Wen Zhuo, Anthony Wong, Gigi Lai, Sam Lee, Cheng Pei Pei

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