Hero of Hong Kong 1949Fine della seconda mondiale, poco prima che i comunisti prendano definitivamente il potere sulla Cina continentale: un comandante dell'esercito nazionalista, Shan, insieme ai pochi uomini sopravvissuti del suo reggimento, è costretto a fuggire verso Hong Kong, trampolino per raggiungere Taiwan e la libertà. Una volta sbarcati nel dominio inglese, i soldati si accorgeranno però che la strada per riabbracciare le famiglie e una vita normale è più irta di ostacoli del previsto. Il governo taiwanese è infatti lassista e inoperoso per quanto riguarda i rifugiati, e gli uomini saranno costretti ad affidarsi alle cure di un ricco uomo d'affari, Fang Tin Suen, che li impiegherà - a loro insaputa - come corrieri della droga. Spalleggiato da un comandante di polizia laido e corrotto, il tenente Fok, Fang finisce con lo sfidare apertamente Shan, che pure si era dimostrato utile nel combattere i suoi rivali.
Poon Man-kit torna sul luogo del delitto: a due anni di distanza dal successo di To Be Number One sforna un'altra storia corale su dei rifugiati che si costruiscono da soli la strada per un futuro migliore. Non è un caso che protagonista sia sempre Ray Lui, in quel periodo affetto da preoccupanti problemi di typecasting, così come scontato è il ritorno di Kent Cheng (qui anche co-produttore assieme al solito Stephen Shiu), volto importante per caratterizzare personaggi infidi e traditori. La latitanza di un progetto saldo alle spalle e l'assenza in fase produttiva di Johnny Mak (che pure collabora al coevo e similare Lord of East China Sea) si fanno sentire: Hero of Hong Kong 1949 è un film stanco, spudoratamente sorpassato, sbilanciato - sostanzialmente noioso. La storia presenta sulla carta un qualche interesse, con uno sguardo interno alle connessioni di politica, commercio e malavita in un periodo decisamente travagliato per la popolazione cinese. Peccato che lo spunto si trasformi in un affannato minestrone qualunquista: senso del ritmo nullo e tutte le forze disperse in un groviglio propagandistico di rara inefficacia - di segno opposto a quello comunista, ma altrettanto sterile e pomposo nella sua magniloquenza vittimista. Siparietti comici imbarazzanti nella loro semplificazione preconcetta (i comunisti, con tanto di fazzoletti rossi, che arrivano a fare propaganda nella baraccopoli dove si sono sistemati gli ex-soldati: il tutto finisce in una rissa che neanche Bud Spencer e Terence Hill...), un tessuto a maglie larghe che stenta a contenere le molteplici anime rappresentate (la storia d'amore tra Shan e una hongkonghese, malvista dai famigliari, i problemi di Mr. Lee, rivale di Fang, le storie private di diversi soldati), una certa insopportabile pedanteria di fondo (Shan che tenta il suicidio due volte, lo scontato tradimento di uno dei suoi uomini): colpo mancato per un autore che stava emergendo con prepotenza ed è invece precipitato nella coazione a ripetere se stesso senza soluzione di continuità.

Hong Kong,  1993
Regia: Poon Man-kit
Soggetto / Sceneggiatura: Stephen Shiu, Lee Sai Hung, Chan Man Keung
Cast: Ray Lui, Kent Cheng, Ken Tong, Dicky Cheung

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