HonestyIl 2003 potrebbe essere l'anno del ritorno in grande stile di Wong Jing: che con Colour of the Truth ritrova con convinzione il buon noir di una volta e con Honesty rilancia il suo tipico umorismo nella commedia romantica. Per l'occasione ha la bella intuizione di riunire la coppia Richie Ren / Cecilia Cheung per la prima volta dal grande successo del modesto Fly Me to Polaris di Jingle Ma. Lui è un veterinario ingenuo, filantropico, un osso sin troppo facile da spolpare per lei, scafata prostituta a caccia di soldi e comodità, costi quel che costi, anche doversi fingere sua assistente, brava ragazza malata di cuore e lavorare sodo giorno e notte. Tre l'arrampicatrice e il suo traguardo - 200 milioni di dollari! - c'è la bisbetica ex fidanzata di lui, un avvocato maneggione e un criminale da strapazzo in vena di ricatti.
Al contrario del film di Ma, che viveva e moriva sulla (scarsa) chimica della coppia, il consapevole Wong dimostra maggior senno costruendo attorno ai due presunti piccioncini un universo colorato e surreale, sempre in bilico, sul filo del rasoio (della credibilità). Il regista gioca con il pubblico, dandogli in pasto ciò che vuole: Ren in un ruolo virginale, la Cheung con un'anima più sporca del solito - personaggio pervaso dallo stesso amabile cinismo di King of Comedy, finalmente -, spalle degne di questo nome (la deliziosa Lee San-san e il sempre meno statico Raymond Wong) e un complesso contorno di (mezze) stelle comiche, corte dei miracoli di grande effetto (Chapman To e Eric Kot su tutti). Il sorpasso a sinistra rispetto alle più stereotipate divagazioni in territori simili di Johnnie To e Wai Ka-fai (Love for All Seasons) è facilmente assicurato. Honesty è più vitale, partecipe, un mélo surreale, sbilenco, grossolano, pieno di invenzioni - il finale finto-musical in cui è impossibile non ridere, i duetti tra le due cacciatrici costrette a convivere - e tradizionalmente carico di equivoci, mai troppo sguaiati, anzi sempre adeguati alle situazioni, ben giocati e calibrati.
Classica commedia per tutti, come la miglior tradizione hongkonghese insegna. Con i colpi ad effetto piazzati nei momenti giusti, la macchina da presa sempre a suo agio, una recitazione più che adeguata, atmosfere rilassate e sorridenti, un pizzico di cattiveria, parodie senza soste (eccellente il montaggio parallelo tra ospedale e night club), qualche civetteria concessa all'ego degli attori, la giusta dose di autoreferenzialità (il miliardario interpretato dal veterano Wong Tin Lam, ossia il padre di Wong Jing; lo stesso Wong che si presta per un gustoso cammeo nell'epilogo nella metropolita), ritmo forsennato (eccettuata sola la tediosa ma utile presentazione iniziale), una colonna sonora canto-pop nostalgica (la canzone portante, The Moon Stands for My Heart, è un must del cinema di Hong Kong) e gli stereotipi che rendono subito riconoscibili caratteri e sviluppi narrativi.

Hong Kong, 2003
Regia: Wong Jing
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Jing
Cast: Richie Ren, Cecilia Cheung, Lee San-san, Chapman To, Raymond Wong Ho-yin

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