House of the Flying DaggersNella Cina del nono secolo, sul declinare della dinastia Tang, una setta segreta si oppone allo strapotere dei signori della guerra, derubando i ricchi per distribuire ai contadini bisognosi. Leo, capo provinciale delle guardie, ordina a Jin, suo aiutante, di investigare su una danzatrice cieca, Mei, giunta da poco alla locanda e sospettata di essere affiliata al gruppo ribelle. Fingendosi suo alleato, Jin riesce a far fuggire Mei dalle prigioni, nella speranza che lo conduca al nascondiglio della setta. Lungo il cammino avranno modo di esplodere finzioni, segreti, doppi giochi e malie.
Dopo l'indigestione di Hero, Zhang Yimou torna alla carica con un altro wuxiapian da esportazione pronto all'acclamazione generalizzata. All'apparenza prova a correggere gli errori insiti nella megaproduzione precedente - saccente, stilizzata alla nausea, pregna di un simbolismo kitsch (più che significante), per non parlare della morale tronfiamente conservatrice. Sebbene a fatica, House of the Flying Daggers non esagera con giochi cromatici, stilemi coatti e pretese artistico-snervanti di riporto: eppure, nonostante questo, nelle due pellicole s'intravede la stessa flemma da conquistatore, la stessa arroganza da narratore narcisista, esagerato - quel tocco di retorica grandeur che Zhang Yimou pare non saper più trattenersi dal mostrare. Permane, e non sarebbe un male, la cura maniacale per i dettagli (i colori e le scenografie limpide e frastagliate della locanda del piacere, quelle eteree della foresta di bambù), il gusto per coreografie edonista-elaborate (il gioco dei fagioli, sempre nella locanda, i numerosi duelli on the road, lo scontro finale sotto la neve, tutti merito del solito Ching Siu-tung), infine la grazia senza peso del movimento di corpi e umori. Tutti elementi attraenti, in qualche modo esotici, dunque ipnotizzanti - soprattutto per un pubblico occidentale. Peccato che sotto la coltre di imbellettamenti prostetici, il re sia nudo: la storia è risaputa, gli intrighi sono chiari sin dall'inizio, i colpi di scena non provocano brividi, essendo ovvi, e la ragnatela di attrazioni e fascinazioni ha più della soap opera che del dramma delle passioni di stampo shakespeariano. Sarebbe anche accettabile, se il film riuscisse a mantenere il buon ritmo visivo della prima mezz'ora: dopo il primo combattimento conseguente alla fuga, però, subentra la ripetizione più blanda e annoiata (con aggravante di scaramucce amorose), e ora della fine House of the Flying Daggers mostra tutti i suoi insostenibili limiti.

Hong Kong, Cina, 2004
Regia: Zhang Yimou
Soggetto / Sceneggiatura: Li Feng, Wang Bin, Zhang Yimou
Cast: Takeshi Kaneshiro, Zhang Ziyi, Andy Lau, Zhao Hongfei, Guo Jun

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