Ip Man 2Dopo aver rilanciato in pompa magna il gonfupian con il precedente Ip Man (già omaggiato/sbeffeggiato/imitato in un buon numero di film in lingua cantonese usciti nell’ultimo biennio), il trio Wilson Yip - Donnie Yen - Sammo Hung continua con questo Ip Man 2 a narrare la vita (molto) romanzata del più celebre maestro di wing chun.
Stavolta le vicende raccontate partono qualche tempo dopo l’arrivo di Ip Man a Hong Kong: siamo appena dopo il 1949 e il sifu di Foshan, che rimane nello status di nobile decaduto anche dopo la fine della guerra civile, deve sempre barcamenarsi tra numerose difficoltà economiche (la famiglia vive in un minuscolo appartamento, la moglie aspetta il secondo figlio); così, Ip decide di aprire una scuola di arti marziali.

Al principio, il problema è solo quello di trovare allievi disposti a pagare la retta; quando poi gli allievi cominciano ad arrivare – grazie anche al carisma del primo discepolo di Ip Man, un giovane scavezzacollo di nome Wong Leung (Huang Xiaoming) – sono gli altri sifu di Hong Kong a cercare di mettere i bastoni tra le ruote al placido Ip: in particolare, il maestro di hung gar Hung Chun-Nam (interpretato da Sammo Hung), che sfida Ip Man per testarne il valore e gli chiede il pagamento di una quota mensile per permettere al nostro protagonista di insegnare le arti marziali (chiamatela estorsione, cambia poco).

I problemi della vita di tutti i giorni vengono tuttavia messi in ombra da questioni di ben altro livello quando, durante un torneo, un pugile inglese dal fare arrogantello e dal soprannome di Twister (Darren Shalawi) sfida apertamente i maestri di kung fu, invitandoli a combattere contro di lui sul ring…

L’arrivo nelle sale di Ip Man 2, dopo la ventata d'aria fresca portata dal primo film nel cinema di arti marziali, era molto atteso dagli appassionati del genere. Le ragioni di questa attesa erano due: la prima, il ritorno al confronto diretto tra Donnie Yen e Sammo Hung dopo le scintille viste in Sha Po Lang, e la seconda, la speranza che – una volta pagato il fio del nazionalismo, sfoggiato nel primo film, al mercato cinese – con il ritorno ad un’ambientazione post-bellica la sceneggiatura potesse dedicare più attenzione ai personaggi e meno alla retorica.
E in effetti lo scontro tra i due giganti delle arti marziali, coreografato dallo stesso Sammo Hung, non delude minimamente le attese e anzi regala un duello in equilibrio instabile tra i due maestri e i loro stili, il wing chun di Ip Man e l’hung gar di Hung Chun-nam, una scena che entra subito negli annali del cinema di arti marziali per la stupenda fusione tra pulizia delle coreografie, eccellenza nell’esecuzione, uso bilanciato di cavi e stili diversi, ironia e drammatizzazione, oltre a una regia puntuale ed enfatica il giusto.
La sfida tra Ip e Hung è l’acme vero e proprio di Ip Man 2; purtroppo si consuma poco prima della metà della storia e – per tornare alla seconda aspettativa (tradita, stavolta) in elenco – lascia spazio a 40 minuti finali dove la retorica riprende pesantemente le redini del copione, con l’entrata in scena del pugile inglese, e trasforma la seconda parte del film in un lunghissimo siparietto tra ring e conferenze stampa che alterna l'orgoglio nazionale cinese alla prepotenza e all’ignoranza dei colonizzatori occidentali, raggiungendo il culmine sul quadrato pugilistico con quella che ha tutte le caratteristiche di una rilettura di Rocky IV, inclusi tutti i pregi (pochi) e i difetti (molti) dell'originale (che almeno aveva la scusa di nascere dal clima della guerra fredda).

Per quanto riguarda il comparto tecnico siamo nel solco tracciato dal primo film, soprattutto in termini di regia e di coreografie, e questo lascia un pizzico di bocca amara a chi magari si aspettava qualche (piccolo, visto il gran livello di partenza) passo in avanti. In realtà, per la gioia degli appassionati di arti marziali, si segnala comunque – oltre allo scontro Yen-Hung di cui si diceva – una buona dose di scene d’azione con cui lustrarsi gli occhi: prima tra tutte il gigantesco scontro al mercato del pesce dove Ip Man non disdegna di usare ogni cosa che trova a portata di mano per difendersi da decine di avversari. La sempre buona prova attoriale di Donnie Yen, sia sotto il profilo dell'azione che nella rappresentazione del personaggio, e gli inserti di quotidiana ironia e vita famigliare – sebbene in certi frangenti paiano ai limiti del gratuito – contribuiscono lievemente ad alleggerire la pesantezza della debordante vena nazionalista degli ultimi 40 minuti. In sintesi, Ip Man 2 risulta un film all’altezza del suo predecessore forse più per i lati negativi che per quelli positivi, e dimostra che l’ispirazione di questa versione cinematografica e infarcita di finzione della vita del sifu Ip Man – richiamo a Bruce Lee che nella vita reale ne è stato, seppur indirettamente, un allievo, incluso – è improntata proprio negli intenti a rievocare un sentimento d’orgoglio nazionale del popolo cinese, più che a raccontare una storia vera e vissuta. E questo può risultare ad occhi esterni discretamente indigesto, anche perché anacronistico. L’incredibile successo di pubblico raggiunto sia a Hong Kong che in Cina continentale è un’ulteriore prova di questa scissione nella percezione del film da parte del pubblico cinese e di altro pubblico, esterno. Di sicuro, questo successo pone una seria ipoteca sulla più che probabile continuazione della saga in un terzo capitolo, dove probabilmente vedremo il personaggio del giovane Bruce Lee tra i protagonisti..

 

Hong Kong, 2010
Regia: Wilson Yip
Soggetto/Sceneggiatura: Edmond Wong
Cast: Donnie Yen, Sammo Hung, Lynn Hung, Simon Yam, Darren Shahlavi.

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