It’s a Wonderful LifeIt’s a Wonderful Life è il debutto alla regia dell’attore che oggi, ad Hong Kong, sembra l’unica alternativa credibile a Stephen Chiau. Paragoni a parte, il film si nutre di quello stesso spirito dissacratorio che ha nella parodia, nella scatologia e nell’autoreferenzialità la propria ragion d’essere.
Per rimediare ad una promessa non mantenuta un semidio, Thunder, scende in Terra con lo scopo di riportare la felicità nella famiglia del bonaccione Ding Dong. Ma la situazione in casa è complessa.

Con l’uomo vivono, a carico, una moglie artista frustrata, due figlioletti troppo scalmanati, una cognata perennemente in crisi sentimentale, un cugino senzatetto e un cognato alle prese con una fidanzata pericolosa. Per di più sul posto di lavoro le cose non vanno meglio, tanto che un viscido collega, vessato dalla moglie, minaccia un piano mortale pur di liberarsi delle sue preoccupazioni. Lo stesso Thunder, seppure dotato di poteri magici, deve vedersela con una fidanzata gelosa e molto sensibile.
Pur volendo tralasciare le palesi e sboccate citazioni da Una settimana da Dio (2003, di Tom Shadyac), dal buonismo di Frank Capra e da The Banquet (2006, di Feng Xiaogang: kolossal cinese che, citando una riuscita battuta, effettivamente a Hong Kong non ha visto nessuno) ci si ritrova di fronte ad un curioso ibrido che tritura la tipica commedia di Capodanno in voga e ne ripropone, senza particolari innovazioni, una sintesi già digerita. Il pubblico, a questo punto, deve solo incassare le gag, metabolizzarle, quindi decidere se questo tipo di comicità funziona. Il nonsense di Cheng non si allontana dal «moleitau» di Chiau, ma più come scelta programmatica che quanto ad efficacia degli sketch illogici. Infatti l’intento è quello di coprire, a 360 gradi, la quotidianità che l’audience cantonese conosce e con la quale ha familiarità, sia essa rappresentata da un datore di lavore arrogante e codardo oppure dall’abuso di video-cd porno consumati senza troppi pudori. Il materialismo comune è il punto di riferimento di ogni battuta, che prende spunto dal concreto e, hic et nunc, lo attualizza, sporcandolo e abbassandone il punto di vista al minimo comune denominatore popolare.
Il cast non è stellare come ci si aspetterebbe da una commedia con evidenti ambizioni di classifica, eppure funziona. Cheng, che si muove discretamente dietro la macchina da presa – in particolar modo in un paio di scene in esterni, quando l’obiettivo oscilla e accarrezza i personaggi con affetto – ha l’acume di affidarsi a volti non necessariamente famosi eppure radicati nell’immaginario collettivo, con l’unica eccezione di almeno tre superstar come Kenny Bee, Kelly Chen e Tony Leung, conquistati anche per poche inquadrature da strombazzare al vento. La scelta di formare una factory artistica, che prevede il padrino Vincent Kok, lo sceneggiatore Ye Nianchen, gli attori Cheung Tat Ming e (in altre circostanze) Sam Lee paga in termini di fidelizzazione.
La confezione colorata, lo sfondo kitsch e l’alito populista sono accattivanti anche quando la storia dimostra lacune troppo grandi. Sorpassati i riferimenti troppo espliciti della vita (attoriale) precedente, come Jim Carrey o Ben Stiller, Cheng inizia a trovare un proprio stile, imponendosi come forza comica da sfruttare non in termini di uragano folle a sé stante ma in base alle situazioni. Adattato a contesti ogni volta diversi, in cui interagisce ironicamente con l’ambiente e l’ecosistema circostanti, il giocoliere sfrontato funziona meglio che come primadonna. It’s a Wonderful Life, ricco di idee, di situazioni, di eccessi, di momenti sopra le righe, anche se zeppo di difetti e zoppicante sotto molti punti di vista, ne è la conferma.


Hong Kong, 2007
Regia: Ronald Cheng
Soggetto / Sceneggiatura: Ronald Cheng, Ye Nianchen
Cast: Ronald Cheng, Vincent Kok, Tony Leung Ka-fai, Teresa Mo, Louisa So

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