Kung Fu MahjongAh Wong è un ragazzo come tanti: lavora come cameriere nel bar della zia, è concupito dalla procace cugina cui non concede attenzioni e invece sbava per una ricca coetanea che spia mentre gioca a badmington. Wong è un essere umano, pieno di difetti e di passioni, però ha anche una dote: una memoria eccezionale. Un pregio che colpisce Chi Mo Sai, giocatore incallito che vorrebbe sfruttare le capacità del nuovo amico per sbancare ai tavoli da mahjong. La fortuna dei due svolta finché Wong riesce anche, con un colpo da maestro, a conquistare la ragazza dei suoi sogni. Mal gliene incoglie, visto che lei sta con un ricco tycoon dai metodi criminali, che lo fa picchiare fino a farlo rimbecillire. Per ritrovare la propria intelligenza Wong si impegna al tavolo verde, gradualmente riacquista cervello e si prepara a sferrare una sfida all'odiato nemico in un torneo di mahjong all'ultimo sangue.

«C'è così tanto a oro a Hong Kong, ma ci sono molti sacrifici dietro»: dietro questa frase di pragmatico ottimismo si cela il senso di Kung Fu Mahjong, ennesima trasposizione del mito del self made man caro alla città di Hong Kong, concetto basilare su cui il cinema non manca di riflettere attraverso, in questo caso, la mediazione gambleristica di Wong Jing. Ma si sta parlando di cinema o in maniera più ampia di un'intera società in tormento, alla ricerca dei fasti economici di un tempo? Il discorso include ovviamente ogni possibile sfumatura, visto che Wong non è un pivello e sa applicare la formula banale dell'idiot savant da lui lanciata nel primissimo God of Gamblers ad un substrato sociale caotico e disordinato che rappresenta a meraviglia l'attuale confusione del(lo spettatore) cantonese medio.
Girato in soli 15 giorni, Kung Fu Mahjong (traduzione del titolo cinese: Saint of Mahjong) è un attacco di nostalgia. Si sorride per l'ingenuità delle situazioni, rigorosamente demenziali, insieme all'artefice, ma c'è spazio anche per toni cupi, nerissimi, a base di sesso e morte, e per momenti di pathos reale, nella perfetta tradizione del frullato di generi ed emozioni prettamente hongkonghesi. Con questa pellicola si torna finalmente a parlare di un cinema di plastica (irreale ma non finto), di maschere, di folklore (autoctono: parlantina, gag, equivoci e riferimenti sociologici tradiscono le ambizioni, riuscite, di colpire al box office interno), di divertimento e puro intrattenimento ben architettato. E' un piacere ritrovare nelle strategie produttive di Wong la linfa vitale del cinema cantonese. Quando è ispirato e di buon umore, il regista si trasforma in prolifica macchina da incassi, e la qualità e la passione che infonde nei suoi progetti sono direttamente proporzionali alla qualità degli stessi. Qui opera chirurgicamente in circolo, tornando sui suoi stessi passi e su due ultimi anni positivi. In coppia con Billy Chung, dal cui aiuto solitamente trae vantaggio, Wong valorizza un cast di sconosciuti - Roger Kwok, che rifà il suo ruolo nella serie tv Square Pegs - e di ripescati - dal successo di Kung Fu Hustle, di cui riprende solo due protagonisti e il titolo. Kung Fu Mahjong è irriverente (l'idea del mahjong come medicina), paradossale, parodistico, puro cinema di imitazione ma mai banale, che fa bene e fa ridere di gusto, senza particolari rimorsi. 

Hong Kong, 2005
Regia: Wong Jing, Billy Chung
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Jing
Cast: Roger Gwok, Yuen Wah, Yuen Qiu, Theresa Fu, Iris Wong

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