Love BattlefieldDopo il deludentissimo The Death Curse, horror senz'anima che sfruttava il fenomeno Twins e una manciata di anonimi volti adolescenziali, Cheang Pou-soi si mette a giocare con gli imprevisti del caso, innescando uno scontro amoroso che ha il sapore di un trattato noir perso nel sangue, nella notte, nella disillusione: umorale come i guizzi della passione, denso come la lotta per la sopravvivenza. Ricompaiono gli anfratti poetici intravisti in Diamond Hill, in un mélo ombroso e ambiguo, intelligente nella sua consapevolezza, ammaliante nell'ingenuità con cui si concede allo spettatore. Sfidando con risolutezza gli incastri delle possibilità latenti, in un oliato ingranaggio di rimandi e particolari intrecciati, Love Battlefield vede una coppia sull'orlo del collasso progettare una vacanza in Europa - per rilassarsi, ma soprattutto per ritrovarsi. Il giorno della partenza scoprono però che la loro auto è stata rubata. Yui, furibondo, vorrebbe recarsi dalla polizia a denunciare l'accaduto; Ching è decisa a partire, costi quel che costi, per non lasciar scolorire il sogno dell'attimo. L'incomprensione sfocia in un alterco e i due si separano. Ching torna a casa, pronta a raccogliere le sue cose e allontanarsi da una relazione dolorosa. Yui, sulla strada per la centrale, incappa nella sua auto, parcheggiata fuori da un palazzo in costruzione. Le diramazioni del destino sono infinite, e in un chiasma repentino (meglio non rivelar troppo), dalla fuga e dalla lontananza i due amanti si ritrovano a cercarsi, inseguirsi, infine desiderarsi.
Sospeso tra l'elettricità dei sentimenti, il rigore del noir a tesi e la scrittura per sottrazione dei personaggi, Love Battlefield dimostra come a Hong Kong sia ancora oggi possibile progettare cinema spiazzante e innovativo (e continuare a prendere senza rimorsi i soldi della co-produzione con la Cina). A dimostrare l'acume narrativo raggiunto dal regista, superati per capacità di sintesi il concentrico Horror Hotline... Big Head Monster e l'eterea disperazione di New Blood, basterebbe d'altra parte la scena della rottura tra Yui e Ching, girata in una scarna rampa di un parcheggio, somma di eventi minimali che erompono nella fatalità dell'abbandono: un groviglio empatico di nervi, sguardi, silenzi e parole urlate con rabbia, in un crescendo che ha modo di stemperarsi solo nel ralenti che accompagna il commiato di Ching. Ma ogni segmento della storia gronda dell'identica passione affabulatoria, tra un montaggio serrato che sa concedere il giusto equilibrio alle pause come agli scarti d'azione, la fotografia notturna, satura dei blu e degli scintillii dei volti sudati, e soprattutto un cast affiatato, compatto: dalla maschera scarnificata di Eason Chan (che pure ogni tanto eccede), alle determinazioni opposte di Niki Chow e Wang Zhiwen, fino al disincantato pragmatismo di una Qin Hailu incinta e indomita. Non mancano le imperfezioni (certe inquadrature reiterate, l'esasperazione di alcune sequenze e un finale tirato per le lunghe), ma Love Battlefield, al pari di Breaking News di Johnnie To e One Nite in Mongkok di Derek Yee, appare l'ultimo cinema in grado di guardare con fierezza al passato, senza ammiccamenti, per reinventarsi una grammatica delle emozioni in movimento.

Hong Kong, 2004
Regia: Cheang Pou-soi
Soggetto / Sceneggiatura: Szeto Kam-yuen, Ng Wai Lun
Cast: Eason Chan, Nicky Chow, Wang Zhiwen, Qin Hailu, Raymond Wong Ho-yin

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