Love for All Seasons

Tiger è un donnaiolo impenitente che - a causa della sua bulimia sessuale - sta fisicamente cadendo a pezzi. La medicina occidentale da forfait, così al "povero" playboy non resta che rivolgersi alle tradizioni cinesi; visto che le scuole di Shaolin e Wu Tang non si degnerebbero mai di raccogliere un relitto mondano come lui, l'ultima speranza risiede nel clan di Omei (per inciso, composto da sole donne). Tiger, insieme ai suoi aiutanti, s'imbarca nella titanica impresa, incappando in May, vice-maestra del tempio. La ragazza lenisce i dolori con improbabili esercizi placebo, tanto per scucire al riccone qualche quattrino. Ma quando la vera maestra del tempio è sul punto di ritornare, May è costretta a guarire sul serio il paziente e spedirlo di tutta fretta verso casa. Tempo addietro la maestra è infatti impazzita, e adesso minaccia di uccidere May assieme a tutte le discepole e le persone che oseranno intralciarla. Solo May può contrastarla, ma per padroneggiare le tecniche marziali necessarie ha bisogno di provare una grossa delusione amorosa. Chi altri meglio di Tiger potrebbe mettere alla prova il suo cuore?
Commediola romantica con un pizzico di wire-work e poca inventiva. L'incipit è spumeggiante, l'idea chiassosa ma efficace e la chiosa morale (tutto il retrogusto filosofeggiante-zuccheroso intorno alle mosse segrete) può anche non sfigurare, a patto di non pretendere troppo: da quegli infaticabili stacanovisti da blockbuster quali sono, Johnnie To e Wai Ka-fai si assicurano ancora una volta la via breve alla sufficienza. Gli ingranaggi - oliatissimi da anni di canovacci sempre uguali - hanno bisogno solo di una messa a punto microscopica per continuare a girare con eguale lena; in questo modo il meccanismo può accelerare in automatico, senza doverlo controllare - facendo risparmiare tempo e denaro. Il che significa una regia minima (salvo nelle scene clou, quelle sì curate) e una produzione altalenante (cura solo le star, in ombra tutto il resto); il risultato è azzerare ogni pensabile istanza di redenzione, lasciando perlomeno insoddisfatti.
Louis Koo è - inutile dirlo - l'uomo giusto al posto giusto: ridanciano, avvenente, spiazzante e un po' bastardo-strafottente. Sembra che ultimamente gli vada bene apparire in fiumi di commedie solo per rubare cuori a destra e a manca, sfruttando finalmente il suo innegabile carisma per scalare la vetta dei più visti e sospirati. Sperando scalzi presto Andy Lau ed Ekin Cheng - per il momento ci si può accontentare. Sammi Cheng, viso perennemente rosso affannato, corpo sbilenco stretto in abiti improbabili (tra tute sformate e vestiti démodé) è ingenua e maldestra alla bisogna, ma si ostina a recitare con la stessa verve di un confetto carino che non ha mai avuto bisogno di sforzarsi per risultare simpatica. Simpatica, duole ammetterlo, lo è sul serio - eppure non ci vorrebbe molto, da parte sua, per uscire dalle torbide (quanto remunerative) acque della svampita laccata e riverita. Sarebbe ora di farlo.
Love for All Seasons, in definitiva, stanca e diverte al contempo. Ma le risate a denti stretti difficilmente appagano.

Hong Kong, 2003
Regia: Johnnie To, Wai Ka-fai
Soggetto / Sceneggiatura: Wai Ka-fai, Au Kin Yee, Yip Tin Shing 
Cast: Louis Koo, Sammi Cheng, Lee Bing Bing, Belinda Hamnett, Emotion Cheung

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