Master Z

Dopo essere stato sconfitto a porte chiuse da Ip Man, Cheung Tin-chi abbandona il wing chun per dedicarsi a garantire sicurezza al proprio figlio. Di fronte a un abuso ai danni di due ragazze, però, si trova costretto a intervenire, scatenando la vendetta delle Triadi.

Mentre si sta preparando un quarto capitolo della serie di Ip Man, con un ruolo di spessore per il personaggio di Bruce Lee, Wilson Yip sfrutta il momento e – alla maniera di Star Wars e delle sue Stories – confeziona con Master Z: Ip Man Legacy un inatteso spinoff. Dietro la macchina da presa siede però Yuen Woo-ping - 74enne veterano del cinema di arti marziali, già action director di innumerevoli film hongkonghesi (Drunken MasterIron Monkey) e poi di Matrix, La tigre e il dragone e Kill Bill - mentre il proscenio del protagonista è tutto di Max Zhang, campione di wushu anche lontano dal grande schermo. Dopo memorabili parti da villain in SPL 2: A Time of Consequences e in The Grandmaster, Zhang può finalmente aggiudicarsi uno showdown grazie al ruolo di Cheung Tin-chi, prima rivale e poi epigono di Ip Man.

Il suo stile di wing chun è destinato a scontrarsi con la violenza della triade Cheung Lok e con quella del trafficante britannico Davidson, interpretato dal colossale Dave Bautista (Guardiani della galassia). Come per Star Wars, la natura di spinoff aiuta ad alleggerire l’ansia da prestazione e la necessità di non scontentare nessuno che caratterizza i capitoli maggiori della saga.

Non dovendosi confrontare con un personaggio noto come quello di Ip Man, la sceneggiatura si muove più liberamente nella ricostruzione del quartiere di Wan Chai negli anni 60: un “mondo di Suzie Wong”, in cui si cerca di ricreare il clima licenzioso di una Bar Street affollata da marinai britannici (rigorosamente brutali e spregevoli) e avvenenti intrattenitrici hongkonghesi (prigioniere delle circostanze). La coloratissima messa in scena sixties è uno dei punti di forza di un’operazione che invece cede proprio laddove si dava per scontato il trionfo. Di fronte alla sciatteria di alcuni scontri marziali, infatti, sorgono dubbi sull’effettiva direzione di Yuen Woo-ping (le coreografie d’azione sono firmate da Yuen Shun-yi). In particolare nella sequenza dello scontro “verticale” in stile platform game, condotto saltellando sulle insegne dei negozi: al di là dell’evidente plagio dalla scena di lotta conclusiva di Chocolate di Prachiya Pinkaew, la commistione di wirework e di effetti digitali grossolani azzera l’efficacia del gesto marziale. Deludente anche lo scontro Zhang-Bautista, riproposizione in sedicesimo di quello Yen-Tyson, mentre le cose vanno meglio quando entra in scena una Michelle Yeoh armata di sciabola e ammantata di fascino vintage da produzione Shaw Brothers.

A sprazzi Master Z: Ip Man Legacy riesce ad elevarsi al di sopra dell’ultimo capitolo di Ip Man, ma sono davvero molti i buchi di sceneggiatura e i momenti sacrificati sull’altare dell’overacting. Cast ricco e poliedrico, da Bautista spietato gweilo - in un delirio anti-occidentale che supera persino Ip Man 2 – al beauty contest tra Ada Liu e Chrissie Chau. Nuovamente pleonastica la presenza di Tony Jaa, già visto in un ruolo analogo in Ip Man 3: la volontà di farlo rientrare nella saga di Ip Man è evidente, la necessità effettiva di farlo dal punto di vista artistico decisamente meno.

 

Tit. or.: Ye wen wai zhuan: Zhang tian zhi
Hong Kong/Cina, 2018
Regia: Yuen Woo-ping.
Soggetto/Sceneggiatura: Edmond Wong, Chan Tai-li.
Action director: Yuen Shun-Yi.
Cast: Zhang Jin, Dave Bautista, Michelle Yeoh, Ada Liu.

 

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