Dragon InnDurante la dinastia Ming (1268-1644), la maggior parte del potere politico è nelle mani di corti controllate da eunuchi. La più forte di queste, la East Chamber, a cui capo c'é Tsao Siu Yan (un magnifico Donnie Yen), regna incontrastata, mettendo a morte tutti gli oppositori. I due figli del principale oppositore a questo regime sono tratti in salvo dallo spadaccino imperiale Chow Wai-on e da Yau Mo-yan. Inseguiti dai soldati di Tsao Siu Yan, sono però obbligati a fuggire e costretti a rifugiarsi nell'unica locanda presente nei pressi di un grande tratto desertico. La locanda - "Dragon Inn" appunto - è gestita da Jade King, che per una precisa scelta di convenienza si è sempre tenuta ai margini delle questioni politiche potenzialmente pericolose, ostentando neutralità.

Sua unica trasgressione è il saltuario adescamento di alcuni clienti con il preciso intento, tramite un meccanismo nascosto nella sua camera, di farli arrivare al cuoco Duo, che ha così ingredienti freschi per i suoi piatti. Il destino vuole però che gli uomini della East Chamber arrivino anch'essi alla locanda, restandovi bloccati a causa dello scoppio di una tempesta di sabbia. Fuggittivi e inseguitori sono così costretti a convivere nella locanda, con Wai-on e Mo-yan che devono tenere celata la loro presenza per non essere catturati...
Dragon Inn è il remake di Dragon Gate Inn, diretto da King Hu nel 1972. Mentre l'originale era tutto incentrato (come sempre d'altra parte in Hu) su intrighi, sotterfugi, raggiri - atti a smascherare, con intento quasi filosofico / antropologico, l'agire prettamente politico e quindi compromissorio e decadente degli uomini -, questo rifacimento diminuisce e mette quasi in secondo piano questa componente per concentrarsi sull'aspetto spettacolare e sulla tensione creata dall'interazione dei vari personaggi. La trama, pur non essendo nulla di trascendentale, è infatti sapientemente dosata, risultando lineare e scorrevole - mai banale. Rinchiudendo i protagonisti di entrambe le fazioni in un unico luogo da cui non possono uscire, il film acquista una patina di claustrofobia non indifferente, esaltando una recitazione tesa e istintuale, virtualmente priva di cadute di tono e in grado di mantenere desta la tensione per tutta la durata della pellicola. Da quando infatti i fuggitivi mettono piede nella locanda i personaggi sono costretti a convivere a stretto contatto contro la loro volontà in un continuo studio di mosse e contromosse che vincolano il loro agire. Ognuno ha un suo obiettivo da portare a compimento ad ogni costo, in contrasto con quello degli altri, e proprio questo indefinito braccio di ferro fa da motore allo svolgersi degli eventi. I protagonisti d'altra parte offrono tutti una prova eccezionale, a partire dalle due attrici principali - Brigitte Lin e Maggie Cheung - che fin dalla loro prima apparizione riescono a calamitare l'attenzione dello spettatore. Il loro contrasto, che viene ad intersecarsi con gli altri in atto, è ricco di sensualità e malinconia (e non a caso una delle scene più famose del film le vede combattersi strappandosi a vicenda le vesti), contribuendo a donare al film un'aria trasognata e magica. Tutte le scene si svolgono in un desolante silenzio e in un'atmosfera ovattata, quasi di animazione sospesa. I dialoghi, i movimenti, i gesti, portano tutti il segno di un disarmante bisogno di quiete pronto a sottomettersi ad una impellente necessità di tempesta. E' come se il film fosse vissuto in perenne attesa, in un farsi sopito ma mai domo. E gli scoppi coreografici non si fanno attendere invano, regalando magistrali sequenze d'azione non prive di inquietanti momenti gore (come il duello finale in un deserto del Gobi trasfigurato dalle dune).
Dragon Inn fa quindi parte di quell'importante opera di rilettura dei classici orchestrata dalla Film Workshop di Tsui Hark, qui in veste di produttore, con l'intento di donare nuova linfa e nuova vita a film importanti ma a rischio di essere dimenticati, come nel caso del fortunato A Chinese Ghost Story di Ching Siu-tung (1987) - remake di The Enchanting Shadow di Li Han-hsiang (1960) - o del magnifico The Blade (1995), di Tsui Hark stesso - rifacimento di The One-Armed Swordsman di Chang Cheh (1967).
Nulla di più facile, quindi, che perdersi in questo film incantato che dell'incanto visivo e sentimentale fa la sua cifra interpretativa.
Il film è passato anche al Sundance Film Festival, ed è stato candidato a numerosi premi dell'Hong Kong Film Award nel 1992.

Hong Kong, 1992
Regia: Raymond Lee
Soggetto / Sceneggiatura: Cheung Tan
Cast: Tony Leung Ka-fai, Brigitte Lin, Maggie Cheung, Donnie Yen

 

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.