Nine Girls and a GhostNel tentativo di sfruttare lo strapotere delle Twins applicato alla commedia giovanile, Raymond Wong recluta l'unica possibile alternativa al duo pop, ingaggiando le nove componenti della girl band Cookies per un remake del fortunato Happy Ghost, 1984, da lui stesso diretto e interpretato. Nine Girls and a Ghost aggiorna la stessa storia ai giovani del nuovo millennio, e prova l'irriverente sorpasso a sinistra, proponendo una versione più scatenata e colorata di Summer Breeze of Love, visto dal versante delle rivali. Trama pressoché identica: un fantasma riappare diverso tempo dopo il suo tragico decesso - in un incidente automobilistico - e fa amicizia con un gruppo di studentesse, inseparabili amiche per la pelle, le uniche persone, insieme allo sfigato fratello dell'incontrastata leader dalla compagnia, che lo riescono a vedere. Uguali le parentesi sportive e scolastiche, con lo spettro che generosamente si presta ai bisogni delle nuove conoscenti, aiutandole a passare gli esami e a vincere una serie di gare atletiche. Le differenze, ben pensate, stanno nell'amnesia che ha colpito il fantasma - è il motivo per cui non può ancora reincarnarsi -, nel tentativo delle ragazze di aiutarlo a recuperare i suoi ricordi e nella svolta mélo quando una delle adolescenti, a furia di frequentare il simpatico genietto, finisce per innamorarsene, ricambiata.
Wong, che patrocina l'operazione con la sua Mandarin con l'aiuto in cabina di produzione di Simon Loui e del redivivo Phillip Chan, allestisce un palcoscenico di tutto rispetto, pagando il necessario - effetti speciali digitali e wire work molto ben coordinato, idealmente in stile Shaolin Soccer - per far risaltare la solare grinta delle giovani protagoniste. Le Cookies sono simpatiche e carine, non sono grandi attrici - né grandi cantanti, ma il discorso può essere esteso in parallelo alle stesse Twins: ed è forse proprio la loro verve normale a decretarne il gradimento popolare -, ma l'unione fa la forza, e anche le meno dotate del gruppo riescono a non sfigurare nel gioco d'insieme. Tutto sommato si vede chi ha un minimo di esperienza - come Edison Chen (meno imbambolato del solito, probabilmente grazie al raggio d'azione limitato del suo personaggio, che avrà sì e no tre espressioni non troppo dissimili da alternare a piacimento), Cyrus Wong (svezzato a suon di fiction tv), Chapman To (in un veloce cammeo esilarante), Angela Au (si era messa in luce in Spacked Out di Ah Mon), il succitato veterano Phillip Chan - e chi ha il talento per andare avanti - la carismatica Stephy Tang, già reclutata in altri progetti simili, come Feel 100% 2003 - senza troppi problemi di personalità. Il regista Chung Shu Kai, cresciuto proprio nell'officina Mandarin (Gigolo of Chinese Hollywood, Blue Moon), alla prima prova di un certo rilievo (ma al box office non è andato bene come speravano i produttori), dimostra il suo valore di artigiano affidabile, recupera il minimo indispensabile di cattiveria e trasgressvità (manifestati da brevi cenni scatologichi e dagli atteggiamenti arrabbiati delle teenager ribelli), peccando solo nel montaggio poco concreto, nella distribuzione iniqua della colonna sonora e nell'eccessivo rilievo dato ai frizzanti estetismi della fotografia da videoclip patinato.

Hong Kong, 2002
Regia: Chung Shu Kai
Soggetto / Sceneggiatura: Raymond Wong
Cast: Stephy Tang, Edison Chen, Angela Au, Theresa Fu, Miki Yeung

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