One Nite in MongkokUna faida tra gang insanguina il distretto di Mongkok. Un sicario, proveniente dalla Cina continentale, viene ingaggiato da una delle fazioni contendenti. Braccato dalla polizia, non troverà di meglio della compagnia di una prostituta, anche lei cinese mainlander.
Uno dei cardini, su cui è costruito One Nite in Mongkok, è la sua ben definita dimensione spaziale e temporale.

Tutto si snoda nel corso di 36 ore che precedono il Natale, concentrandosi nella notte della vigilia. Sullo sfondo il tentacolare distretto di Mongkok, che costituisce l’area più densamente popolata al mondo, come viene detto in una didascalia. Da questi due elementi si palesano quelli che sono i modelli di riferimento di Derek Yee, vale a dire i film americani come Fuori orario e Tutto in una notte. One Nite in Mongkok è in effetti un film impregnato delle atmosfere notturne scorsesiane, metropolitane, sporche e claustrofobiche.
Ma il film non è solo questo. E’ anche e soprattutto la storia di uno spaesamento che spinge i due immigrati dalla Cina a coalizzarsi, a trovare una complicità in quel contesto per loro straniante. «Perché chiamano questo posto Hong Kong?» si chiede la protagonista alla fine del film, non le pare vero che la metropoli porti la parola «incenso» nel suo nome. L’origine etimologica di Hong Kong deriva appunto dall’essere stata un porto (Kong) in cui veniva lavorato l’incenso (Hong). A ergersi protagonista è il tessuto urbano dell’ex colonia britannica, con tutte le sue contraddizioni, con il fatto di costituire una realtà cosmopolita, sospesa tra oriente e occidente. One Nite in Mongkok può essere annoverato tra i grandi affreschi di una città proposti dalla settima arte.
Un altro sottotesto del film è rappresentato dall’umanizzazione della figura del killer su commissione, dal fatto di dare uno spessore psicologico a una figura tradizionalmente impiegata come semplice funzione narrativa. Per questo Derek Yee si inserisce in una consolidata tradizione del cinema di Hong Kong, che passa per The Killer di John Woo, per arrivare alla satira di Fallen Angels.
Yee confeziona uno straordinario noir metropolitano, distinguendosi per uno stile di regia estremamente raffinato. Basti pensare all’eleganza dell’incipit in bianco e nero, che lascia spazio, attraverso un’inquadratura di transizione con una macchina di color rosso vivo sullo sfondo della metropoli decolorata, al colore. Ma a dominare sono tonalità opache e monocromatiche. Il bianco e nero torna alla fine, per l’ultima, maestosa visione della grande città. Parafrasando il celebre monologo di Woody Allen in Manhattan, «Hong Kong è una città che vive in bianco e nero».

 

Hong Kong, 2004
Soggetto / Sceneggiatura: Derek Yee
Cast: Cecilia Cheung, Daniel Wu, Alex Fong, Anson Leung, Chin Kar-lok

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.