Return of the One-Armed SwordsmanRitiratosi in campagna con l'amata Xiaoman, lo spadaccino monco Fang Gang è raggiunto da due emissari di un gruppo di otto temibili spadaccini, che lo invitano, insieme ai principali esponenti delle scuole più prestigiose, a prendere parte a un grande duello per eleggere il futuro padrone del mondo delle arti marziali. Fang dapprima rifiuta, poi, su richiesta di un nutrito gruppo di discepoli cui gli otto sgherri, vincitori con le buone e con le cattive del torneo, hanno recapitato un tremendo ultimatum (tagliarsi il braccio destro per reclamare la libertà del proprio maestro), si ricrede e, complice il rapimento di Xiaoman, decide di mettersi a capo dei ragazzi per ottenere giustizia.
Return of the One-Armed Swordsman gioca con il pubblico con il chiaro intento di appassionarlo e di trasformare il singolo episodio in saga. Fin dal principio - i titoli di testa a base di spade e armi sempre più assurde - è evidente la volontà di giocare con la spettacolarità delle lame e dei personaggi - si veda la stravagante figura dell'assassina Hua Niangzi, fanciulla apparentemente soave che uccide per puro divertimento - in ogni possibile accezione e combinazione. Messo da parte quello spleen decadente, Wang Yu torna a dover combattere con la sua coscienza (incarnata nella figura della moglie, ascoltata e in un certo senso temuta) e con il complesso di castrazione che lo attanaglia sin dalla perdita dell'arto destro: da un lato si allena tutti i giorni con il ferro preferito, dall'altra non ha il coraggio di fare quanto ritiene giusto, anche in situazioni estreme. Il conflitto interiore raggiunge il culmine, ed implode, causando un clamoroso atto di incoerenza nei confronti dei propositi di partenza, quando la pace raggiunta con sacrifici è spazzata via dalla violenza delle circostanze.
Chang Cheh lavora più sulle coreografie che sui dialoghi al fine di trasformare un guerriero maledetto in super-uomo, di sublimarne, in una sola istanza, frustrazione e desiderio di vendetta per scatenare una carneficina di proporzioni bibliche. Il discorso è paradossalmente simile a quello dei super eroi dei fumetti, dove vige la filosofia che a grandi poteri corrispondano responsabilità altrettanto immense (e gravose). La superiorità di Fang Gang - e di conseguenza il risultato delle sue gesta - non è mai in discussione (splendida l'idea di dimostrarla in tutta la sua lampante evidenza contro gli spadaccini bianco-neri, di notte, senza che questi possano anche solo pensare di metter mano alle proprie spade), conta unicamente il modo in cui andrà a vincere e chi dei numerosi compagni di avventura - a priori destinati a soccombere come necessari martiri del bene collettivo - riuscirà a rimanere vivo al suo fianco.
Nel cruento gioco di ruolo che ne consegue i protagonisti e le decine di comparse (molte delle quali illustri), mossi con eguale bravura da Chang, Tong Gai e Liu Jia Liang, volano, combattono, sudano, odiano, sferrano colpi su colpi e furoreggiano in una cornice relativamente semplice, elegantemente fotografata e di immenso fascino. Maggiormente disincantato rispetto al prototipo, meno sensuale del terzo episodio di lì a venire Return of the One-Armed Swordsman è un fulgido e attraente excursus sulle potenzialità del wuxiapian all'apice del suo splendore.

Hong Kong, 1969
Regia: Chang Cheh
Soggetto / Sceneggiatura: Chang Cheh
Cast: Jimmy Wang Yu, Chiao Chiao, Essie Lin, Cheng Lui, Chung Wa

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