Rose, Be My LoveJiacong, suo cugino Jialiang e la bella Mei-kuei sono amici di scuola che la guerra ha separato per sette anni. Mei-kuei che abitava a Macau ed era ricca, vive a Hong Kong con il padre malato, in condizioni di quasi indigenza, quando riceve un invito per il fidanzamento di Fengyao, un'altra vecchia compagna di scuola, e andando alla festa scopre che il fidanzato della situazione è Jiacong, antico amore (corrisposto) risalente a prima dello sfollamento. Jiacong tenta di rompere il fidanzamento e andarsene di casa con Mei-kuei, ma impedimenti da parte di tutte e due le famiglie di lei e di lui rendono questi progetti irrealizzabili. Jiacong è dunque costretto a prendere in moglie la fidanzata ricca scelta dal padre, lasciando che Mei-kuei posi per i quadri del cugino Jialiang, che si innamora di lei e finisce per sposarla. Ci sono allora due coppie, una felice e una infelice. Ed eventi tragici e lieti constringono a riflettere e a sacrificarsi per il bene dei propri cari...
Quando il cinema mandarino prende da quello cantonese, acquista subito in credibilità e spessore: Rose, Be My Love (1966) splendido dramma sfarzosamente confezionato, chiarissimamente si rifà, come minimo, a Tear-Laden Rose (1963) di Chor Yuen: la rivalità / amicizia tra i due protagonisti maschili (Guan Shan val bene Patrick Tse Yin, ma Ling Yun non può competere con Bowie Wu Fung!), la pittura, la lealtà che domina sugli egoismi, e la sventura che colpisce uno dei genitori proprio mentre sono in corso tutte le incertezze sentimentali più gravi, sono espedienti presenti in Tear-Laden Rose ma anche in tanti altri film di Chor Yuen (Opposite Love, per esempio...), anche se è pur vero che Chor ha iniziato la sua carriera proprio come aiuto regista di Chun Kim, e che Chun Kim stesso ha dato il meglio di sé e più copiosamente in produzioni cantonesi, risultando meno brillante in quelle mandarine (Till the End of Time, per citare un altro titolo Shaw Bros, è un film poco credibile e debolissimo, penalizzato da una recitazione scadente e da tanti dettagli sciatti che non quadrano). Le donne che invece di essere solo gelide rivali, sono anche capaci di parlarsi e di progredire, nonostante le innumerevoli e dolorose difficoltà, da A Purple Night sempre di Chor Yuen fino a Women di Stanley Kwan e oltre, sono anche questo un chiaro segnale cantonese. Guan Shan invece rimane il simbolo dello shusheng, l'uomo debole (ma non privo di introspezione) mandarino, anche se, come se il suo personaggio fosse metalinguisticamente memore del mancato tempismo avuto in The Blue and the Black, qui è lui a suggerire la fuga dal tetto paterno, bilanciando e arricchendo una messa in scena nella quale ogni immagine è sempre piena e animata in un'armonia di particolari davvero appagante (la scena della domestica che non sa posare per il dipinto è allo stesso tempo simpatica e tenera ma anche funzionale, dando modo di affezionarsi allo studio pieno di quadri di Jialiang, affezione che poi pungerà dolorosamente, tornando in quello stesso studio svuotato e silenzioso). Le scelte di regia di Chun Kim prediligono spesso la macchina da presa palpitante, in sintonia con le emozioni dei personaggi: mentre Mei-kuei viene ritratta da Jialiang, la cinepresa le si avvicina e le si allontana, come il dilatarsi di una pupilla quando due persone si piacciono (identico movimento di macchina con medesimo significato è anche in A Purple Night); e quando Jiacong e Mei-Kuei ballano nell'inevitabile locale notturno, ognuno con un partner indesiderato, gli sguardi di Guan Shan si inanellano con quelli di Lee Ting, e il loro muoversi via via da furtivo a slegato, in principio reso solo dal rincorrersi delle inquadrature, nel suo momento di climax emotivo viene raggiunto e sottolineato dall' aritmia strana e a malapena percettibile (ma indimenticabile!) della batteria che completa il pezzo jazz di sottofondo. Unico veicolo che valga per conoscere Lee Ting, morta suicida qualche mese dopo l'uscita del film (e ci dev'essere stato veramente qualcosa di indescrivibilmente pressante nel lifestyle di casa Shaw Bros, perché ce ne sono troppe di piccole e grandi stelle suicide), Rose, Be My Love è allora un classico imperdibile, nel quale il già visto e il prevedibile fanno da sostrato linguistico che permette di addentrarsi in profondità negli smottamenti sibillini e travolgenti dei sentimenti umani. Il cinema del resto è così che funziona, bissando la realtà.

Hong Kong, 1966
Regia: Chun Kim
Soggetto / Sceneggiatura: Chan Ming Kam
Cast: Guan Shan, Lee Ting, Ling Yun, Pat Ting, Cheng Miu

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