Running on KarmaBig è un culturista che fa la spola tra Shenzen e Hong Kong per guadagnare qualche soldo extra come spogliarellista. Lee Fung Yee, zelante poliziotta alle prime armi, irrompe nel locale dove si sta esibendo e lo insegue quale immigrato clandestino. Il problema è che Big non è un semplice maniaco dei muscoli o un banale collezionista di ammirati urletti femminili, quanto un monaco che ha abbandonato il rinomato tempio di Grotto in seguito all'omicidio di una ragazza - omicidio a cui non ha saputo opporsi. La sua maledizione è poter vedere chiaramente «le cause e le conseguenze» del destino delle persone che incrocia; nello specifico si accorge che la vita di Lee, reincarnazione di uno spietato generale giapponese della seconda guerra mondiale, è destinata a una tragica fine. La ruota cosmica deve certo compiere il suo corso, e i peccati delle vite precedenti vanno espiati, ma è giusto che a una ragazza colma di buona volontà sia negata la possibilità di gioire del suo futuro in terra?
Tutto fa pensare all'ennesimo tentativo Milkyway di rimpolpare il carniere di successi commerciali senz'anima: commedia sopra le righe con spruzzata di noir, coppia di attori principali amata e riverita dal pubblico, la solita cura per la modernità di scenografie e costumi - senza contare le impercettibili ma efficaci coreografie aeree di Yuen Bun. Al di là delle impressioni iniziali Running on Karma si rivela però film sfaccettato, inaspettatamente profondo, persino complesso nelle dinamiche che irradiano dall'idea centrale. Buddismo e bicipiti sono senza dubbio un'accoppiata insolita, ma Johnnie To e Wai Ka-fai - sulla base di premesse traballanti - hanno il merito di costruire una tensione palpabile, sempre in crescendo. Sulla distanza si notano sbavature e indecisioni (la parte centrale è una statica ripetizione del già detto), ma è comunque lodevole il tentativo, non ancora del tutto riuscito, di tornare a pensare di coniugare incassi, epicità e colpi bassi (lo dimostra tutto il finale). Sarebbe impensabile incensare un prodotto che comunque prende le sue sbandate ed evita accuratamente i rischi insiti nei temi trattati (religione, libero arbitrio o responabilità individuale sembrano più escamotage per insaporire lo svolgimento, piuttosto che cardini ineliminabili di un costrutto unitario); ad ogni buon conto un innegabile passo avanti, e una sorpresa, rispetto ai compitini rabberciati del recente passato.
Pagando pegno allo star system, parole finali per le due attrazioni dello spettacolo. Andy Lau è inguainato in una tuta muscolosa, contraltare della ciccia esposta in Love on a Diet, che fa risplendere il suo corpo di plasticosa tonicità; il trucco riesce ad incantare da lontano, meglio sorvolare sull'effetto omino-di-gomma dei primi piani. Per il resto l'intramontabile eroe dei botteghini ha gioco facile nell'intenerire la platea con quel suo sguardo tra l'ombroso, il triste e l'irridente. Il ruolo, c'è da dire, non richiede altro. Cecilia Cheung, da parte sua, interpreta la solita svampita dal cuore d'oro cui spesso si adegua: simpatica, ma senza strafare, ha comunque il pregio di far affezionare al suo personaggio - rendendo più efficace il colpaccio finale.

Hong Kong, 2003
Regia: Johnnie To, Wai Ka-fai
Soggetto / Sceneggiatura: Wai Ka-fai, Yau Nai-hoi, Au Kin Yee, Yip Tin Shing
Cast: Andy Lau, Cecilia Cheung, Cheung Siu Fai, Karen Tong, Chun Wong

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