Slim Till DeadUn maniaco omicida rapisce e sevizia belle donne che appartengono al mondo dello spettacolo, con un unico pallino in testa: il peso che deve essere inferiore alle 70 libbre, ad ogni costo, che tradotto vuol dire magari squartare e amputare per togliere i chili di troppo. Un detective frustrato e la moglie, ex agente, più scaltra di lui e culturalmente meglio preparata per giocare una partita a scacchi con lo psicopatico, si affianca ad un'agenzia di modelle presa di mira dal losco figuro.
Marco Mak è un sopravvissuto. Un alfiere del vecchio glorioso cinema di Hong Kong, un artigiano che allo stesso tempo sa cavalcare generi e trend del momento e giocare, sperimentando, grazie a personaggi e situazioni «borderline», ai limiti del paradosso. Slim Till Dead è un thriller tanto morboso quanto ambizioso, capace di coinvolgere emotivamente come un romanzo noir ben scritto - magari da un Jeffery Deaver ancora acerbo. Paragone che sottolinea l'attenzione al colpo di scena mainstream ma anche la cura nella costruzione di personaggi credibili, che crescono di pari passo con la storia. Il dipanarsi del mistero rappresenta allora la transizione da una fase iniziale di studio dei caratteri, quasi grossolana nel suo incedere didascalico, ad un secondo stadio di comprensione, sostanziale (l'epifania dell'identità del serial killer) e formale. Questo secondo aspetto comporta l'applicazione delle regole classiche del giallo ad investigazione continuata ai sincretismi della cultura cantonese, fatta nella circostanza di pillole per dimagrire, concorsi di bellezza e momenti rancidi (le barzellette che non fanno ridere che racconta una delle possibili vittime designate; l'allergia del protagonista ai preservativi; la curiosa parodia di Dumplings di Fruit Chan), di surreale nonsense.
Il sangue è di tradizione occidentale, tanto che pare di guardare un emulo, nel miglior senso del termine, del primo Dario Argento o dell'ultimo Infascelli (Il siero delle vanità); ma non lo è nell'esplicazione del fatalismo fobico del protagonista, poliziotto che ha paura di sparare, e dei rituali tragici di morte che coinvolgono tutte le pedine circostanti, compreso un fugace accenno di iper-violenza antropofaga. A tal punto l'idea di catarsi mediatica è convincente - un primo tentato omicidio introduttivo sventato grazie alla televisione - che neppure un effetto speciale quasi ridicolo allo specchio o il gore gratuito risultano pesanti orpelli degenerativi. Slim Till Dead è la giusta contraddizione della perfezione che porta sul grande schermo, e compie in maniera intrigante il proprio destino fondendo le paure altrui agli isterismi socio-collettivi.

Hong Kong, 2005
Regia: Marco Mak
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Jing
Cast: Anthony Wong, Sheren Tang, Cherrie Ying, Raymond Wong, Crystal Tin

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