Streets of Fury Streets of Fury riparte da dove si interrompeva il discorso di Once Upon a Time in Triad Society di Cha Chuen Yee, che mirava apertamente alla confutazione del mito di Young and Dangerous. Il veterano Billy Tang, abbandonato il thriller erotico a tinte forti, è stato inconsapevolmente eletto a prosecutore dell'epopea delle triadi. Tornano ovviamente, per sfruttarne il momentaneo appeal presso il grande pubblico, gli eroi della serie originale: non tanto Jordan Chan, né Ekin Cheng, ma i comprimari Michael Tse, Jerry Lamb e Gigi Lai, affiancati da un giovane emergente, Louis Koo, che ha grinta e fisico per spazzare via gli avversari.
Due ragazzi cresciuti a Mongkok, due buoni a nulla, cui la vita sembra voler riservare solo fregature, sognano il successo e la popolarità. Per loro (s)fortuna arrivano ai ferri corti con un piccolo boss locale, e si ritrovano, senza neanche accorgersene, arruolati nelle triadi, la gang Hung Hing capitanata dal buffo King. Parallelamente si sviluppano le storie d'amore con due ragazze difficili, Yi e Shan (ambedue soffriranno stupri e torture). Il cast è impressionante per quantità e qualità dei nomi coinvolti. Debuttano nel filone l'eccentrico Tsui Kam-kong (con curioso look rasta), Teresa Mak (convinta chissacome a rasarsi a zero), Simon Loui e Ben Lam (un capobanda la cui fama è preceduta dalla scarsa igiene personale). Le interpretazioni sono una caricatura degli stereotipi del filone: ci sono boss di ogni tipo, violenti, comprensivi, pazzoidi, che comandano a bacchetta scagnozzi di ogni genere, ingenui, fifoni e vendicativi.
Billy Tang opera una scelta ben precisa: parodiare, eccedere ma non andare oltre il limite del buon gusto (in tal senso va letto il finalino arrendevole che non travia né funge da cattivo esempio). Di rigore: la macchina a mano nelle scene dei combattimenti di gruppo; il montaggio secco e dinamico; la fotografia squillante tutta luci e ombre, soprattutto in notturna; la colonna sonora a base di chitarre distorte e techno-rock languidamente melodico. Ne deriva un pasticcio di difficile degustazione in cui l'occhio del regista assume a seconda delle situazioni una posizione (e un approccio mentale e psicologico) differente. A volte il regista chiede solo di essere preso sul serio e si prodiga nel mostrare crudezza e particolari raccapriccianti (una mano mozzata, diversi accoltellamenti) in primissimo piano. Più spesso si limita ad osservare distaccato le scene, a pennellare qua e là con tocchi di humour poco raffinato e di esagerazioni formali quasi pacchiane. Manca probabilmente quella capacità di graffiare, a nervi scoperti, pulsioni e elementi ricorrenti di un trend che ha contagiato più persone del previsto. Agire per sottrazione, quando Tang è solito colpire il bersaglio utilizzando un metodo diametralmente opposto (shockare per far riflettere), implica un'ironia sottile che forse non è recepibile dagli adolescenti che affollano i cinema per seguire un'illusione di basso rango.

Hong Kong, 1996
Regia: Billy Tang
Soggetto / Sceneggiatura: Chap Toi Chong Chok
Cast: Louis Koo, Michael Tse, Teresa Mak, Gigi Lai, Simon Loui

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