Temple of the Red LotusWu capita per caso sul terreno di scontro tra un gruppo di ladri nerovestiti e una scorta che trasportava un ingente tesoro, finendo ferito da un dardo a forma di drago. Soccorso da una donna cavaliere errante, la famosa Red Lady, potrà rimettersi sulla strada per la casa dei Jin - protettori di antica data della sua famiglia - presso i quali dovrebbe reincontrare Lian-zhu, compagna dei giochi d'infanzia e promessa sposa. Qui giunto viene però accolto con freddezza: i Jin, in realtà responsabili dell'attacco al convoglio, non stentano a riconoscere in lui l'intruso che hanno ferito, e lo guardano con sospetto - a maggior ragione da quando la casa è sotto i continui attacchi degli appartenenti al tempio del loto rosso (gli uomini che, travestiti, stavano trasportando il tesoro). Riconciliatosi con Lian-zhu, ma a disagio nel clima di malcelato astio, Wu decide di fuggire assieme all'amata per scoprire la verità.
Temple of the Red Lotus è un teso wuxia delle origini, fondamentale spartiacque tra la scuola classica di derivazione cinese prebellica e una nuova concezione più cinetica e matura - che sboccierà completamente grazie al Chang Cheh di Tiger Boy (1966) e soprattutto The One-Armed Swordsman (1967). Certo qui le coreografie sono ancora ingenue, complice più che altro un montaggio meno articolato che lascia intravedere troppo da vicino la staticità dei corpi; ma la minore complessità stilistica è compensata dai primi gustosi accenni di wire works, scoperti quanto si vuole, eppure prodromo indispensabile ai futuri attacchi alle leggi di gravità. Arrampicate improponibili e balzi sovrumani, per quanto in prospettiva risibili, guadagnano pur sempre la ribalta in modo compiuto e definitivo. A fare da contorno, come gustoso contraltare, arti mozzati e sangue (di un rosso lucente evidentemente finto) a profuzione, segno che la voglia di stupire duellando coi sensi dello spettatore è ben presente a prescindere dall'epoca, nel cinema di Hong Kong. Il modello si rivelerà un successo (tanto da generare due seguiti, The Twin Swords e The Sword and the Lute), portando alla ribalta uno stuolo di nuovi promettenti attori: in primo luogo Wang Yu, al suo esordio, il cui volto diverrà in breve tempo sinonimo d'intrattenimento marziale (guance scavate, espressione enigmatica e un'eleganza scevra di violenza nelle scene d'azione) - ma anche Lo Lieh e Guk Fung sono qui alla prima prova importante. Successo ampiamente meritato, a ben vedere, perché se delle ingenuità formali s'è detto, tutt'altro che ingenuo risulta essere l'intreccio, nonostante qualche sbavatura (Red Lady - deus ex machina utile a trarre d'impiccio gli eroi - inessenziale); sostenuto dalla necessaria dose di equivoci e cambi di prospettiva, si snoda con accortezza senza mai lasciare spazio alla noia.
Potrebbe rivelarsi una gradita sorpresa per gli appassionati, a patto di stare al gioco.


Hong Kong, 1965
Regia: Chui Chang Wan
Soggetto / Sceneggiatura: San Kong
Cast: Jimmy Wang Yu, Chin Ping, Ivy Ling Po, Lo Lieh, Tin Fung

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