The Enchanting ShadowNing Chai-chen è un giovane studente disinteressato a cariche governative che raccoglie tasse e affitti di città in città. Una sera, non trovando un posto dove dormire, viene indirizzato verso il non lontano tempio di Jinhua; nessuno vuole però accompagnarlo, perché secondo le leggende locali le rovine del luogo sono infestate dagli spettri. Incredulo, Ning vi si reca ugualmente, incontrando un eremita, Yan Chi-xia, esperto spadaccino, anch'esso intenzionato a trascorrervi la notte. Non riuscendo a dormire, Ning si avventura nei dintorni, scoprendo una villa dove una giovane suona e recita una struggente poesia rivolta alla notte. Ammaliato, lo studente si introduce nella stanza della giovane, incurante delle anziane che attorniano la ragazza, e legge alcune degli scritti. La ragazza, Nie Xiao-qian, lo scopre, ma invece che scacciarlo ne segue divertita i consigli letterari. Nasce un'amicizia - nonostante l'intervento delle altre donne; ma se Nie, all'apparenza così innocente, altri non fosse che il terribile spettro delle leggende?
Tratto da un racconto di Pu Song-ling, The Enchanting Shadow (Qiannuu Youhun, Lo spirito di una bella donna) è uno dei tentativi più intensi e riusciti di commistione tra orrore e sensualità, parte dell'inscindibile legame di eros e thanathos; una decadenza sentimentale che sboccia in eterei accenni d'amore, gioco di sguardi insondabili che si mantengono in equilibrio tra il lucido distacco e il sognato abbandono. Una fibrillazione quasi palpabile di erotismo raggelato dal penetrante vento notturno, al cui cospetto tremano le fiamme delle candele e vacillano gli animi dei puri di cuore. Scintille che trovano la loro controparte ed esplicazione nell'incedere spettrale-nebbioso - fino ad assonanze sepolcrali col Nosferatu di Murnau -, nella cupa colonna sonora, nell'opprimente rincorrersi di scenografie scarne e avviluppate su se stesse. E come nel gotico italiano - suggestioni non dissimili si ritroveranno nel Bava de La frusta e il corpo (1963) o nel Margheriti di Danza macabra (1964) - centro e motore risulta essere la figura femminile. Betty Loh Tih è un astro magnetico in grado di calamitare lo sguardo, inconsapevole nella sua bellezza scevra di qualsiasi avvenenza laccata: dall'ingresso in scena al suono di una intensa melodia, un alone di mistero l'avvolge in spire di malia, senza più abbandonarla. Zhao Lei, e con lui lo spettatore, non può che caderne preda, salvo averne inspiegabilmente paura; gli sguardi rimangono infatti circospetti, protetti dalla distanza (la spia da dietro una colonna, la sfiora con gli occhi allontanarsi dal tempio diroccato), mentre con la vicinanza non riesce che a rifuggirla, istintivamente, impulsivamente. Questa tensione irrisolta accresce la macabra sensazione d'attesa, raggiungendo il culmine nella perfetta orchestrazione finale, in cui la distinzione tra mondo degli umani e quello degli spiriti viene definitivamente a cadere: Ning è perduto in un mondo-da-incubo in cui non ha più possibilità di imporsi, bloccato dal terrore - terreno di una lotta fuori dalla sua portata.
Non stupisce come da un tale delicato intrico di sensuosa voluttà, Tsui Hark abbia voluto trarre un remake, A Chinese Ghost Story - diretto da Ching Siu-tung nel 1987 - sovraccarico di rimandi, meno ingenuo negli intrecci, ma sostanzialmente identico nelle sottaciute pulsioni che lo governano.

Hong Kong, 1960
Regia: Li Han-hsiang
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Yuet Ting 
Cast: Zhao Lei, Betty Loh, Yeung Chi Hing, Tong Yeuk Ching

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