The Haunted Cop ShopJeff Lau sin dagli esordi punta subito al genere horror, terreno prediletto, come dimostrerà con le opere successive: con The Haunted Cop Shop elabora una complicata sarabanda che mescola apparentemente alla rinfusa umori e sensazioni, e che sa distillare emozioni forti. Nel cinema di Lau non c'è possibilità per una via di mezzo, tutto è lecito, niente è improbabile. La commistione di generi non è una novità, soprattutto nel cinema della paura (Encounter of the Spooky Kind, The Dead and the Deadly), ma il modo in cui opera la regia è chirurgico: le ferite aperte, in alcuni casi colpi d'accetta più che di bisturi, vanno riempite con ogni ingrediente possibile. Deriva in tal modo una concorrenza di elementi diversi e antitetici: sangue e risate, poliziotti e santoni, vampiri e demenzialità scatologica. Nulla è proibito, con il chiaro scopo di confezionare un caleidoscopio estetico e contenutistico che non conosca limiti. Una lezione programmatica che fa del brutto e del basso il suo orgoglio, eleggendo la bêtise a stendardo di battaglia.
La storia è davvero banale: due poliziotti imbranati, Macky Kin e Chiu Man, devono vedersela, spalleggiati ora da un commissario, ora da un acchiappafantasmi, ora da una donna poliziotto, con il cadavere di un generale giapponese reincarnatosi dopo essersi suicidato cinquant'anni prima. Per evitare di essere morsi, ma anche di essere licenziati, i due amici devono riuscire a sconfiggere il nemico e contemporaneamente a convincere gli attoniti colleghi dell'effettiva esistenza del mondo soprannaturale.
La prima componente che provvede a rendere irresistibile The Haunted Cop Shop è proprio il doppio livello di conoscenza, per cui anche lo spettatore è chiamato a giocare la sua parte: da un lato infatti abbiamo i due protagonisti, e il pubblico con loro, che hanno assistito ad alcuni eventi inspiegabili (la morte di un criminale, trasformato in cenere dalla luce del sole); dall'altro il resto del mondo, incredulo e pronto a etichettare come folle chiunque affermi la presenza di spettri e vampiri. Il contesto, urbano, moderno, acuisce malessere e contrasto tra folklore locale e ambizioni di tecnocrazia.
Se tecnicamente il regista dimostra già di possedere capacità e inventiva (la splendida fotografia che prende un singolo colore come base; gli effetti speciali quasi amatoriali ma d'effetto) è dal punto di vista narrativo che vince la partita. Le trovate, le gag, le situazioni curiose oltrepassano il limite implicito del buon senso e fanno virare i toni verso l'incredulità della parodia-che-si-prende-sul-serio. Citazioni intertestuali (il look del vampiro è lo stesso del Dracula della Hammer; il finale preso di peso da Ammazzavampiri di Tom Holland), autoreferenzialità (i poliziotti nei guai auspicano l'intervento di Lam Chin Ying, il prete-esorcista del fortunato Mr. Vampire di Ricky Lau) e follia calcolata (la vittima che per difendersi morde il vampiro aggressore; i doppi sensi con la biancheria intima; l'omicidio del cane e lo stratagemma per farlo mangiare al capo; i finti-vampiri nella stalla; l'evasione del galeotto Sneaky Ming e successivo incubo onirico a base di erotismo e mahjong). Valore aggiunto la recitazione controllata del giovane Jacky Cheung, né troppo aitante né troppo stupido, e la maschera tragicomica di Ricky Hui, a suo agio anche senza la direzione del fratello Michael.

Hong Kong, 1987
Regia: Jeff Lau
Soggetto / Sceneggiatura: Wong Kar-wai, Jeff Lau
Cast: Jacky Cheung, Ricky Hui, Billy Lau, Chan Ga Chai, Wu Fung

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