The ImpDennis Yu, regista del violento The Beasts e di questo The Imp, horror a basso costo di derivazione occidentale, come i colleghi della New Wave propugna l'affrancamento dalla tradizione e la scelta dei generi come terreno per la sperimentazione di poetiche più personali. I referenti sono i grandi classici del genere, dalle possessioni di L'esorcista di William Friedkin alle paure claustrofobiche di Rosemary's Baby di Roman Polanski. Del primo conserva la valenza sociologica nel rappresentare «il ripiegamento della società su se stessa e la conseguente scoperta dell'elemento demoniaco come canale di sfogo per le paure e le repressioni della cultura urbana»1; del secondo sottolinea la progressione «di un'angoscia surreale su un realismo descrittivo di fondo»2, senza abusare degli effetti speciali. Non si tratta di un lavoro di mero plagio, piuttosto di una reinterpretazione psicologica di canoni universali e riconosciuti secondo l'ottica orientale. Il prete esorcista diventa un esperto di geomanzia, che sfrutta la conoscenza del fung shui per armonizzare la convivenza tra vivi e spiriti. Il diavolo viene sostituito da un più comune spettro in cerca di un corpo in cui reincarnarsi. La tradizione sposa la modernità, e i fantasmi convivono con la tecnologia, integrandosi.
Keung è un disoccupato in cerca di lavoro: da quando la moglie è incinta i problemi si susseguono senza sosta. Finalmente l'uomo riesce a trovare impiego come guardia giurata notturna in un centro commerciale, ma presto iniziano a verificarsi strani eventi. Dennis Yu sfrutta alla perfezione le credenze popolari cinesi (l'anima di una bambina uccisa che sta per reincarnarsi) e le aggiorna al progresso sociale contemporaneo (il palazzo e le ambientazioni urbane): il forte legame di un'intera nazione al suo passato remoto è sintomaticamente rappresentato dalle scelte di percorso (niente di più del solito sifu, come nei vecchi film di arti marziali, che consiglia il suo assistito sul da farsi) e dalla fiducia incrollabile nella magia e nella superstizione. Il film non fa mai quel passo indietro che lo porterebbe a negare un'intera concezione culturale, preferendo accompagnarla nel nuovo millennio. Il realismo tipico del periodo si evince da un uso parco degli effetti speciali. Fino all'epifania finale, il male è simboleggiato da una forte luce verde e da una nebbia ai quali si accompagna un'inquietante risata infantile. L'uso del sangue è altrettanto scenografico, nessun un abuso di tinte grandguignolesche. Piuttosto ha risalto la fantasia con la quale vengono ideati gli omicidi. I luoghi e gli oggetti comuni, usati tutti i giorni, diventano minacciosi: un giornale, un'automobile, il cibo. La tensione è costruita per crescere gradualmente, e per sfociare in un finale adrenalinico e immaginifico, che subito rientra nel dramma quotidiano dell'ultima, sofferta, sconfitta. Diverso dalla tradizione fracassona dell'horror a tinte forti del decennio precedente (in un paio di situazioni surreali ricorda in qualche modo L'aldilà di Lucio Fulci), privo di sequenze ad effetto e colpi di scena improvvisi, The Imp lascia che il brivido emerga lentamente, sfruttando l'eleganza delle atmosfere, e si insinui sotto pelle, nell'angoscia collettiva.

Note:
1. Paolo Mereghetti - Dizionario dei film 2000 - Baldini & Castoldi, 1999.
2. Paolo Mereghetti, op. cit.

Hong Kong, 1980
Regia: Dennis Yu
Soggetto / Sceneggiatura: Gam Bing Hing, Lee Dang
Cast: Charlie Chin, Chui Yee Ha, Kent Cheng, Yueh Wah, Wong Ching

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