The Private Eye BluesMalavitosi di tutto il mondo, alla ricossa: c'è da beccare una ragazzina cinese immigrata illegalmente a Hong Kong, niente di meno che la nipotina prediletta del premier cinese. La piccola, che dovrebbe anche avere incredibili poteri ESP, vale una montagna di soldi. Fortuna che a facilitare le cose ai cattivi c'è la guardia del corpo della ragazza, uno scalcinato detective privato, sbevazzone, male in arnese, un perdente in piena regola. In un colpo solo riesce a inimicarsi tutte le parti in causa, compresa l'ex moglie, da cui sta divorziando, quando coinvolge - ovviamente senza volerlo -, in un pericoloso giro di rapimenti, la loro amata figlioletta.
Alle soglie del temutissimo handover Eddie Fong si fa produrre da Teddy Robin un noir-commedia amarissimo, ben oltre la parodia del genere. Senza altri fini che screditare la futura madrepatria. L'intera epopea dello straordinario Jacky Cheung è incentrata sull'allegorica metafora secondo cui i prossimi padroni cinesi sono dei nemici. Messa con le spalle al muro, Hong Kong addirittura sceglie di morire, pur di non tornare indietro, alla Cina, e riparte ex novo da qualsiasi altra parte, in qualche altro modo, magari in un'altra dimensione - quella del ricordo, della nostalgia, della libertà assoluta a rischio d'estinzione -, in un universo parallelo (non per questo meno folle, sempre popolato da strani individui a metà tra la genialità e la schizofrenia) o in un'altra galassia. Dopo questo colossale sforzo lo stesso Fong deciderà di non voltarsi più indietro, emigrando in Australia prima del fatidico 1 luglio 1997. La copertura curata - fotografia psichedelica di Jingle Ma, musiche sparate, quel tanto che basta di effetti speciali, sparatorie e esplosioni - e cerebrale del film ha ingannato molti1, che hanno letto nell'operazione espressamente politica un'ambizione e un ego smisurati. Ma The Private Eye Blues è una diretta emanazione del potere e delle conquiste che l'ex colonia impaurita - di cui è costola, spiegazione e catartico atto d'amore - si è ritagliata in tanti anni di fatica, sudore e duro lavoro: ossia la possibilità di accendere la televisione e di non annoiarsi, ovvero di andare al cinema a guardare un film porno - o, meglio ancora, di commuoversi con un Cat. III squallidissimo - e provare un piacere inconfessabile. Nel finale furioso esplodono la violenza repressa, l'odio mal celato e un chiaro monito allarmistico: urlato a squarciagola, con una grammatica scorretta ma senza il timore di dover pagare caro ogni minimo errore. Non a caso la piccola perseguitata, l'esperimento pubblico numero uno - è la cantante taiwanese Mavis Fan, bravissima nella sua unica incursione cinematografica -, arriva a Hong Kong in gita, scorazza come un'ape in cerca di nettare e poi implode di felicità. E non a caso non ci sono storie d'amore - se non appena accennate e mai sviluppate -, ma solo impulsi, sesso, disperazione, amicizie buttate lì, passioni umane e il filo sottilissimo del rammarico di non aver potuto fare, o essere, qualcosa di completamente differente da quanto era predestinato. Finora.

Note:
1. In realtà sceneggiatura e regia, lucidi tentativi di confondere le acque, sono un assemblaggio sgangherato e divertito di spezzoni intermittenti scomposti e rimontati quasi a casaccio, con tutti i buchi e le imprecisioni del caso. Non a caso in Nocturno Dossier # 6 (pag. 50) Giona Nazzaro definisce il film «un Wong Kar-wai in acido».

Hong Kong, 1994
Regia: Eddie Fong
Soggetto / Sceneggiatura: Eddie Fong
Cast: Jacky Cheung, Mavis Fan, Kathy Chow, Chin Ho, Chan Fai-hung

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