The Source of LoveChe i film siano utilizzati come mezzo di propaganda (a Hollywood e altrove) non dovrebbe più essere un mistero per nessuno: che spesso siano pensati come veicolo consolatorio delle credenze popolari, è altrettanto evidente (basterebbero a dimostrarlo tutti i film prodotti in occidente su angeli e affini). Che però un film in tutto e per tutto cinese, o meglio hongkonghese, si prodighi con tanta devozione nel tentativo di evangelizzare al cristianesimo gli "stolti" cinesi che ancora idolatrano gli antenati, se non è una completa novità, almeno è una assurda rarità che spero di non dover mai più subire. Intendiamoci, un film che tratti il cristianesimo in Cina da un punto di vista cinese sarebbe interessante e in un certo senso doveroso, visto che la minoranza cristiana hongkonghese è usualmente ignorata, nelle pellicole locali (con solo pallide eco in personaggi di preti scomodi, si veda lo Spencer Lam della saga Young and Dangerous). In The Source of Love c'è però soltanto una stucchevole volontà di proselitismo che utilizza ogni arma retorica per convincere tutti ad abbandonare le proprie credenze per iniziare ad amare il dio cristiano - non certo un discorso critico o sociologico: intreccio, messa in scena, climax, morale, ogni elemento è asservito alla conversione mediatica forzata.
Chen Hon-ming è un anziano padre di famiglia, un insegnante strenuamente aggrappato al posto di lavoro per mantenere gli studi all'estero della figlia, Kar Yi. Sua moglie lo tiene d'occhio, impedendogli di bere troppo, e si occupa di mediare tra il suo carattere introverso e il figlio, Ah Kit, convinto cristiano. Due tragedie iniziano a dipanarsi: l'instabile equilibrio della famiglia è rotto dal ritorno a Hong Kong di Kar Yi, incinta e single, mentre il nonno, vecchino un po' svampito, fugge dalla casa di cura, perdendosi in città. Un duro compito per Ah Kit e il suo amico gwailo-cristiano Rich (Scott Smith, deleterio), ma la forza dell'amore, si sa...
Ambientato nella tranquilla isola di Cheung Chau, The Source of Love è risibile quanto avventato: narrativamente fallimentare, non convince neanche dal punto di vista comunicativo, risultando semplicistico e nella migliore delle ipotesi viziato da una sorta di fanatismo da riporto sicuramente snervante. Aborto, suicidio, triadi, pestaggi o "paganesimo", ogni pretesto è buono per una rilettura cristiano-cinese della realtà. Basta il giochetto con foglio di carta e forbici che Samuel Tai (cantante taiwanese, responsabile anche dell'inno a Gesù che compone la colonna sonora) si diverte a rifare all'infinito pur di favorire le conversioni: disponendo i ritagli risultanti, Samuel dimostra che togliendone uno (una croce, simbolo del cristianesimo) si compone l'ideogramma "morte", rimettendolo si compone l'ideogramma "vita eterna". Ma non è finita, il gioco vale anche in inglese! Togliendo la croce si ha "hell", rimettendola si compone "light". Non ho competenze per il cinese, ma quanto sia inutile la tirata è dimostrato dai tipi di Illuminated Lantern, che con tanto di foto fanno vedere come, con gli stessi identici ritagli sia possibile comporre "love" (senza croce) e "hate" (con croce)! Blasfemi? Solo spossati da un brutto film.

Hong Kong, 2003
Regia: Stephen Shin
Soggetto / Sceneggiatura: Stephen Shin
Cast: Chung Ging Fai, Wong Hoi Yan, Samuel Tai, Deborah Sam, Yang Kwan

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