The SwordIl 1980 segna un esordio da ricordare, quello di Patrick Tam, che dopo aver fatto parlare molto di sé grazie ad una serie di film televisivi di grandissimo impatto, arriva al grande schermo con un wuxiapian, The Sword. Si capisce subito che l'intento non è la solita produzione in serie a beneficio dello spettatore medio: Tam, critico e veterano a soli trentadue anni (grazie all'esperienza maturata come produttore e montatore), è un anti-conformista intransigente. Il suo è un discorso che parte dallo stile e che gradualmente si estende alla sostanza del racconto. In questo caso non sono tanto spadaccini e combattimenti a interessarlo, quanto un'intera società e i suoi valori morali, in un confronto tra tradizione e modernità simile per molti versi, anche se profondamente differente per scelte formali, a quello operato dal collega Tsui Hark in The Butterfly Murders. L'incontro con uno dei generi chiave della cinematografia cinese è al tempo stesso riappacificazione e netta frattura. Il nume tutelare è quello di King Hu, soprattutto nelle sequenze veloci di duelli e combattimenti, ma affiorano anche Chang Cheh, da cui deriva il gusto atipico per il particolare sanguinolento, e gli ancora più classici Akira Kurosawa e Masaki Kobayashi, per la messa in scena a tratti lenta e riflessiva.
E' la storia di due spadaccini, uno arrogante, disposto a tutto pur di aggiungere due famose spade alla sua collezione, l'altro misurato ma disperato nel suo tentativo di guadagnarsi la palma di numero uno assoluto. Due donne a condividerne il destino, la prima sposa infelice, la seconda figlia del rinomato maestro che tutti vogliono sfidare e che possiede entrambe le spade in questione. La trama è semplice e si comprime con abnegazione pur di lasciare campo libero alle intuizioni estetiche dell'autore. Questo relegare i personaggi e le loro caratterizzazioni in secondo piano finisce per rafforzare la bellezza dell'opera, anziché toglierle fondamento e svilirla, come tanta critica purtroppo afferma. Ci sono messaggi importanti che emergono: moralmente esce vincitore un nuovo modello di combattente, che si affida ad un braccio destro letale e fedele per raggiungere i suoi scopi e che non (ri)conosce la dignità dell'etica cavalleresca.
Lontano mille miglia dalla scarna semplicità degli esemplari precedenti, sia comici che seri, The Sword è un wuxiapian elegante, ricco, sfarzoso come i capisaldi di Chor Yuen. Il lavoro fatto nel coordinamento delle sequenze d'azione - laddove i duelli paiono saggi di atletismo applicati al wire-work: il punto chiave delle coreografie è l'equilibrio del corpo che discende direttamente dalla salute psicologica - è esemplare. I raccordi sono spezzati, il passaggio dalla stasi ai movimenti è improvviso e abbacinante, ai limiti dell'incomprensione (personaggi che escono di scena da destra e rientrano nell'inquadratura dal lato opposto; spadaccini che saltano e atterrano senza soluzione di continuità; confronti che sembrano davvero balletti). L'alternanza di campi lungi e stacchi sui primi piani, di rallentamenti in grandi spazi e accelerazioni con visuali sbilenche, il lavoro sui colori (il viso di una donna morente con la dissolvenza in rosso e la ripartenza del confronto finale) e sulle musiche (pompose ma coinvolgenti), dimostrano una cura e una partecipazione emotiva superiori.

Hong Kong, 1980
Regia: Patrick Tam
Soggetto / Sceneggiatura: Choi Gai Gwong, Lau Shing Hon
Cast: Adam Cheng, Norman Chu, Chui Git, Tin Fung, Chan Kei Kei

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