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Tokyo RaidersMacy è a Las Vegas per sposarsi, ma inaspettatamente il suo promesso sposo Takahashi non si presenta alla cerimonia. Tornata ad Hong Kong, la donna prova a cercarlo in quella che doveva diventare la loro casa, ma qui trova solo il designer degli interni (Yung), che vuole essere pagato e per questo motivo è a sua volta alla ricerca dell'uomo. I due volano fino a Tokyo alla ricerca dello scomparso, non fosse che poco dopo essere arrivati sono attaccati da una banda di yakuza che vogliono rapire la donna. Fuggendo, vengono in contatto con Lin, un detective pagato da un boss locale della yakuza per fotografare gli appuntamenti segreti tra la sua donna e Takahashi. Inizia una corsa contro il tempo per ritrovare Takahashi prima che sia troppo tardi, ma soprattutto per capire chi sta dicendo la verità o sta mentendo...
Questa sembra essere la strada che il cinema di Hong Kong ha intenzione di intraprendere per il futuro, perlomeno nei suoi esiti da blockbuster. In sostanza una riattualizzazione della commedia di arti marziali tanto cara al Jackie Chan degli esordi, aggiornata alle estetiche del nuovo millennio. Abiti e pettinature cool, fotografia e colori patinati e pieni, musica tremendamente attuale / finto-sixties, e un gioco di citazioni incrociate in grado di fagocitare, triturare e condensare in un unico film decine di film mainstream occidentali. Una roboante baraonda di nuove invenzioni in grado di ammaliare e al contempo annichilire i sensi dello spettatore. Perché se da un lato non si può che rimanere impressionati di fronte alla mole di movimenti di corpi e di macchine da presa - in un continuo balletto coreografico al suo massimo apice spettacolare e spettacolarizzante - dall'altro è inevitabile guardare in faccia la realtà di un cinema ormai troppo scopertamente metacinematografico e consapevole di sé per risultare genuino e incontaminato da quei trucchi e tocchi di mainstream che tanto deleteri stanno risultando essere per il cinema d'azione hongkonghese. Tokyo Raiders è quindi la cronaca in tempo reale di un mutamento ma anche di una sconfitta - la storia di un cinema che riesce a rimanere ancorato al mutare del tempo e delle mode, ma che lo fa a costo di perdere parte della sua natura provocatoria e innovativa. Si tratta di un processo prevedibile, in un mercato pur sempre dominato dal denaro e dal guadagno. Scoperto e compreso cosa vuole lo spettatore - cosa cerca l'acquirente - si cerca di accontentarlo. Ecco che allora il cinema non è più un fenomeno in grado di forgiare i sensi del fruitore, ma uno specchio in grado di fotografarne ed inseguirne i gusti. L'autoconsapevolezza si tramuta in un quieto adagiarsi sugli standard raggiunti, fino all'esito estremo di una dissoluzione del fare-cinema sostituito da un programmare-cinema.
Ciò detto, non bisogna esagerare con visuali pessimistiche o apocalittiche. Tokyo Raiders rimane un ottimo film d'azione, pur sempre lontano anni luce da qualsivoglia tentativo di imatazione occidentale, e perdipiù divertente e divertito. Una trama che da un banale inseguimento lentamente fa precipitare i protagonisti nel mezzo di una guerra di verità sottaciute e nascoste che continua a sconvolgere il senso e il ruolo degli attori. Nulla di eccezionale (peraltro con un paio di possibili lacune di sceneggiatura), ma ampliamente sufficiente ad intrattenere ed emozionare senza per questo lasciare l'amaro in bocca a causa di una visione accecante e stordente ma vuota.
Una buona sorpresa e promessa dunque per un regista come Jingle Ma, noto soprattutto per il suo film precedente, Fly Me to Polaris (1999), ma cresciuto come direttore della fotografia in innumerevoli film altalenanti tra autorialità e azione (note soprattutto le sue collaborazioni a film di Jackie Chan). E una buona conferma per gli attori, quali Tony Leung Chiu-wai - a sua volta sempre in bilico tra film impegnati e divertissement estemporanei - o astri nascenti come Ekin Cheng - ultimamente onnipresente, che risulta tanto inespressivo quanto smaccatamente simpatico - per non parlare delle prove interessanti di Kelly Chen o Cecilia Cheung, qui in un ruolo purtroppo secondario. [Stefano Locati]

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Tokyo RaidersJingle Ma è decisamente sopravvalutato: un direttore della fotografia che ha cercato di inventarsi uno stile, fingendo che la sua perizia ottica fosse una poetica personale e riconoscibile. Se oggi è considerato un buon regista, a torto, deve la sua fama a un film anestetizzato come Tokyo Raiders.
Niente di meno di un polpettone action noioso e globalizzato, che guarda al Giappone con la fastidiosa smania di chi deve compiacere a tutti i costi i co-produttori. La trama da fumetto hi-tech è scontata, i personaggi sono monocordi, sterili riproposizioni di volti e corpi già visti e già usati a dismisura dal peggior cinema poliziesco (quello di Gordon Chan, tanto per fare un nome), cloni impagliati di Jackie Chan, stessa assenza di vitalità. La fotografia è piacevole, le location pure, tutto il resto è degno di una soap opera costosa per un pubblico inebetito da MTV e dalle fiction tv.
Piattezza assoluta, dal punto di vista tecnico - montaggio e sequenze spettacolari poco incisivi - e da quello umano. A ulteriore demerito di Ma va anche ascritta la pessima direzione degli attori, manichini imbalsamati e senza un solo guizzo di vivacità: in altre circostanze, e guidati da mani più sapienti, hanno tutti nei limiti delle proprie possibilità dimostrato di saper fare il proprio mestiere come si deve. Per rinnovarsi il cinema di Hong Kong deve pescare nell'artigianato tecnico senza un briciolo di creatività: cosa peggiore, non siamo di fronte a un umile operaio che intelligentente si mette alla prova per sondare le sue reali potenzialità dietro la macchina da presa, ma a un presuntuoso genio del marketing, un superbo venditore di se stesso, già proclamatosi autore senza aver combinato nulla di rilevante.
Per un'operazione commerciale che mostra tutti i suoi punti deboli nel momento in cui relega in disparte i cavalli di razza (Tony Leung Chiu-wai, Cecilia Cheung) e tenta a tutti i costi di valorizzare attori non irresistibile (come Kelly Chen e Eking Cheng, entrambi guardacaso figure chiave nei futuri film del regista). Passino gli ammiccamenti modaioli, le citazioni (tutt'altro che colte), i riferimenti stilistici videoclippari, non lo snobismo e la pretesa di superiorità intellettiva con cui Ma propina alle masse ingenue la sua banale ricetta di amori, coreografie e equivoci. [Matteo Di Giulio]

Hong Kong, 2000
Regia: Jingle Ma
Soggetto / Sceneggiatura: Susan Chan, Felix Chong
Cast: Tony Leung Chiu-wai, Ekin Cheng, Cecilia Cheung, Kelly Chen, Toru Nakayama

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