Violet GirlDavid e il suo amico lavorando come centralinisti entrano in contatto con Jenny, una misteriosa ragazza che prima da' loro buca (o così a loro sembra) e poi si lascia conoscere mantenendo però dei lati di sé molto oscuri. I due amici, a turno, decidono di indagare (pedestremente) sulla ragazza, inseguendola con travestimenti buffi e improbabili, ritrovandosi in incresciosi equivoci e facendosi anche malmenare più di una volta. Pian piano comunque la vita di Jenny si fa più leggibile, ma è purtroppo la vita di una malata di mente.
Violet Girl è uno strambo miscuglio fatto per tre quarti di commedia e romanticismi spiccioli, e per un quarto, nel finale, di psicodramma amaro e tragico. Per cui succede che si ride per tutto il film con le scenette, le facce stranite di Cheung Ching e i suoi travestimenti (a un certo punto esce da un negozio venendo incontro alla cinepresa, occultato dietro a un grande panda di pelouche!). Ma poi, gradualmente e subdolamente, la luminosità del bianco e nero diurno e gioioso diventa un'oscurità grigio pesto e irreale, sospesa nell'incredulità sempre più seria e preoccupata dei personaggi che, fino all'ultimo, come del resto gli spettatori, non capiscono quale sia esattamente il problema di Jenny. Jenny in realtà ha vissuto qualcosa di tragico di cui ha memoria solo a tratti, e che rivive senza coscienza di farlo ad ogni suo approccio sentimentale. La famiglia e i dottori tentano di curarla, ma sembra essere una questione tutt'altro che facile e risolvibile a tarallucci e vino, e il finale di Violet Girl è forse uno dei più imprevedibili e scioccanti del cinema di Hong Kong. la regia di Chor Yuen è apparentemente leggera e spensierata, e in realtà curata e raffinatissima: in tutta la parte comica c'è un ottimo ritmo, mai troppo veloce (come altre commedie a rotta di collo, tipo A Blundering Wife, Young, Pregnant and Unmarried e il cataclismatico An Ocean of Love), con un'attenzione particolare ai tempi tecnici e ai modi di recitare degli attori. La parte drammatica è invece più affidata ai movimenti di macchina e al dècor: per esempio l'ambientazione da castello di una favola occidentale (con tanto di madonnina) per la camera d'ospedale di Jenny, o lo zoom in avanti e indietro che segnala l'alterazione cardiaca delle vicende, preparando al peggio. Zoom che non compare minimamente invece in una lunga scena, in parte in piano sequenza, in un grande centro commerciale; qui la composizione dell'immagine fatta di intersezioni di elementi lontani ed elementi vicini è strepitosa e tutta da gustare, e la musica, che in altri momenti è mandolineggiante (addirittura c'è il tema di Arrivederci Roma, nonché svariati accenni di tarantella!) è quasi identica al motivo conduttore, firmato Maurice Jaubert, di L'uomo che amava le donne di truffautiana fattura. E a proposito: Jenny, col suo caschetto e il suo mazzolino di violette, con i suoi modi di fare sbrigativi ed enigmatici, allo stesso tempo grave e frivola, somiglia moltissimo alla Jeanne Moreau dell'allora contemporaneo La sposa in nero (di nuovo di Francois Truffaut), con quel suo irreprimibile prendersi gioco di uomini involontariamente ridicoli. Dunque era una moda fare film con donne che appaiono e scompaiono? Evidentemente sì, e queste donne celano ferite e segreti innominabili che le perseguitano da passati dolorosi e incancellabili (La donna che visse due volte ma anche Marnie di Alfred Hitchcock; gli stessi In my Dream Last Night, A Mad Woman, Tear-Laden Rose, Winter Love e The Forbidden Past di Chor Yuen...). Violet Girl, stranissimo e interessante, è un film difficilmente classificabile, ma è un chiaro esempio di cinema cantonese che cortocircuita l'inscatolamento dei generi cinematografici.

Hong Kong, 1966
Regia: Chor Yuen
Soggetto / Sceneggiatura: Sze-to On
Cast: Man Lan, Lui Kei, Cheung Ching, Leung Sing-bo

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