Categoria: FILM

Hidden HeroesQuando le speranze sono vicine al prosciugamento per eccesso di pazienza, il miracolo si fa presagire. O più brutalmente: «Se il gioco si fa duro bisogna giocare sporco per sopravvivere». Chissà se nei meccanismi mentali di Joe Ma e Cheang Pou-soi, cui il caso entropicamente concede l'unione che fa la forza, sono consci che una coppia peggio assortita, sulla carta, non avrebbe potuto esistere. Eppure questo duetto improbabile finisce - quanto consapevolmente, almeno a priori? - per portare alla genesi di un pezzo di antiquariato che è al tempo stesso passato che ritorna, modernariato kitsch e inventiva rivisitazione del proprio bagaglio culturale, affrescato con personalità e ingenuità. Hidden Heroes è aleatorio come una variabile impazzita, una pellicola che adotta una semantica delle immagini con il caos come proprio dizionario base.
Proprio perciò si parte da un comico spuntato, da una divetta pop che gioca con il suo sguardo imbalsamato, da un riferimento di partenza (i tre episodi di Terminator rivisitati come solo l'umorismo cantonese può fare) ribaltato all'inverosimile. C'è un poliziotto in crisi personale, codardo, insicuro, nipponicamente fuori ruolo, da salvaguardare. Ma la pacchia è che la sua incolumità va garantita solo perché l'uomo possa essere trucidato nella data esatta. C'è poi un androide a batteria che è incaricato della missione e non senza motivazioni ha una sorella umana identica in tutto per tutto tranne che nel carattere violento e focoso. La fantascienza è di facciata, intelligentemente messa da parte perché non sia uno specchietto per le allodole (ma qualcuno c'è cascato) a rovinare le attese dell'impreparato spettatore. La cui prevedibile esigenza è nutrita a pugni nello stomaco: imboccato a ironia malsana, sopra le righe e cialtrona, lo stomaco della platea fagocita e un istante vomita in un solo fiotto insieme al magnetico duo di testa, senza rigurgiti amarognoli a rovinare la festa.
Prodigio (della robotica, sperando che sia davvero brevettabile) sconclusionato, iperbole cinetica e dalla colorazione pop, l'opera prende subito le distanze dalla piattezza quotidiana e osa come un Wong Jing ripulito del turpiloquio ma non della scorrettezza. Al suo posto - ed è una gioia potersi finalmente ricredere - c'è uno schizofrenico Ronald Cheng, incredibile ma vero, per una volta credibile come sosia, antagonista e erede di Stephen Chiau, al cui posto, in ipotetico confronto, regge il colpo. La sua follia si appoggia a qualunque appiglio lo circondi: oggetti, personaggi (l'asettica Charlene Choi, meccanica oltre la propria volontà, ma con grande capacità di prendersi in giro; gli stralunati coniugi Bonnie Wong e Yueh Wah; Raymond Wong satanico e sardonico, comunque sempre omofobica macchietta), luoghi, emozioni, media, situazioni.
E' il trionfo sottotono del meta-cinema che riprende a mordersi la coda e, nel farlo, non solo non prova imbarazzo ma piuttosto ne trae confortante piacere. L'anarchia applicata alla regia - senza sottovalutare la sceneggiatura inventiva e corrosiva - continua allora a t(r)acciare un percorso comico-filmico che ha radici profonde e che può ripercorrere senza imbarazzo l'ovvietà di tanti siparietti e la pedissequa imitazione di modelli tipicamente hongkonghesi, tanto fuori tempo da apparire assolutamente attuale. Anzi, azzardando, Hidden Heroes si trasforma in un sol colpo nella post-moderna negazione del proprio status di instant-movie stupidamente inattuale, cerebralmente inutile e goliardicamente appagante. Imperfetto, impreciso, addirittura ozioso, è un cordiale balletto di generi che si tangono e che appena possono lasciano il posto agli sguardi mélo di due ragazzini spauriti: prendere o lasciare.

Hong Kong, 2004
Regia: Joe Ma, Cheang Pou-soi
Soggetto / Sceneggiatura: Joe Ma, Sunny Chan
Cast: Ronald Cheng, Charlene Choi, Raymond Wong Ho-yin, Bonnie Wong, Yuen Wah