Categoria: FILM

The Untold StoryBasato su un fatto vero, tratto dagli archivi della cronaca nera, The Untold Story di Herman Yau (conosciuto anche con il titolo alternativo The Bunman) è uno dei migliori, se non il migliore in assoluto, Cat. III prodotti a Hong Kong. Uno degli apici del cinema sui serial killer. La materia trattata è delicata: un uomo uccide un ristoratore e ne prende il posto, servendo ai suoi avventori pietanze a base di carne umana, residuo dei suoi misfatti. Un intero distretto di polizia gli sta addosso, ma non riesce a incastrarlo, se non dopo aver fatto ricorso a violenze e torture di ogni genere. L'assassino, stremato, decide di confessare tutto.
The Untold Story è una lucida dissertazione criminologica sulla follia umana. La pazzia del serial killer che colpisce per sfogare la propria rabbia e senza un motivo davvero valido; la crudeltà dei poliziotti che lo braccano senza pietà fino ad ottenere la confessione; l'incoscienza di una società che si sveglia consapevole di avere un problema e che agisce in maniera troppo radicale per eliminarlo. Herman Yau ha finalmente la possibilità di mettere in scena la sua storia, quella che avrebbe voluto dirigere da tempo. E non spreca questa importante occasione messagli a disposizione dal produttore e protagonista Danny Lee. Reclutato l'attore feticcio Anthony Wong - ma in origine avrebbe dovuto essere Simon Yam -, il regista gli impone un cambiamento di stile che sconcerta: la grossolanità lascia il posto alla fredda determinazione dell'uomo comune. L'omicidio diventa possibilità di emergere e di scacciare le frustrazioni di una vita misera e meschina. Una mistificazione del vizio e infatti, potere della causalità, tutto comincia a un tavolo da gioco, dove una sconfitta presa male è il sintomo di un malessere fisico e patologico. Merito in primo luogo dell'attore, vero mattatore, premiato per la sua interpretazione - non senza strascichi polemici - con la palma di miglior attore agli Hong Kong Film Award del 1993. Ma lode anche a una sceneggiatura che sfrutta l'orrore quotidiano per studiare la psiche malata di un reietto della società. Una scelta che implica paragoni, confronti: impossibile non associare il perverso omicida ai poliziotti che gli danno la caccia. Dapprima subentra lo stupore per l'umorismo malsano, fatto di doppi sensi di natura sessuale - le gag rancide sul seno di Emily Kwan - e di provocazioni innocenti, in un universo surreale, il dipartimento diretto da un commissario puttaniere. La violenza invece di scandalizzare miete proseliti strada facendo (l'infermiera che si vendica dell'aggressione subìta): la prima parte del film mostra le parti in causa, la seconda cede la parola all'imputato, che non ha né la voglia né il modo di difendersi dalle accuse. La confessione in flashback è quanto di più crudo si possa immaginare: donne stuprate, bambini massacrati, uomini arsi vivi, cadaveri macellati e rivenduti come cibo. Ambientato a Macao, ma girato a Hong Kong, dove sono stati ricostruiti gli interni dell'ospedale, della prigione e il ristorante. L'assoluta centralità dell'elemento umano (prima il killer, poi i poliziotti, poi ancora il killer) è da intendersi come espletazione di un processo che considera inutile approfondire altri dettagli quando si ha a disposizione un argomento così complicato e (pericolosamente) affascinante.

Hong Kong, 1993
Regia: Herman Yau
Soggetto / Sceneggiatura: Law Gam Fai, Lau Wing-kin
Cast: Danny Lee, Anthony Wong, Emily Kwan, Shing Fui On, Lam King-kong