Categoria: FILM

A Game of No RuleSe c'è una cosa cui va dato atto a Tony Leung Hung-wah è quella di aver cercato di mantenere in vita un certo cinema di genere che si coniugava tra noir, esistenzialismo pessimista e action tout court; dopo l'abbandono per mancanza di fondi di Johnnie To e compagni, e alcuni sporadici tentativi di un ristretto gruppo di registi (Alan Mak, Marco Mak, Steve Cheng), il genere è andato implodendo. Quanto al risultato di questo salvataggio in extremis, è sotto gli occhi di tutti; spunti raccimolati affastellando alla rinfusa stereotipi buoni per tutte le stagioni, fagocitazioni da decine di pellicole diverse e black out sceneggiativi che cortocircuitano la fruizione. Di tutto un po', e non è un caso che all'interno di ogni suo progetto ci sia, ben nascosto, un nucleo potenzialmente interessante (che, per inciso, viene sistematicamente disfato durante lo sviluppo). Analizzando questo A Game of No Rule, nonostante la sostanziale assenza di novità, lo si riesce a ben vedere. Da un lato Six Days, che esce dopo anni di prigione e ritrova i suoi tre compagni di baruffa (un tempo erano in quattro, inseparabili); dall'altro Vodka, poliziotto dedito all'alcol sospeso perché ritenuto colpevole del ferimento di un collega. Mentre i giovani architettano il loro piano di fuga - raccimolare entro una settimana, con ogni mezzo necessario, i 10 milioni di $HK necessari per scappare dalla città - il poliziotto, invaghitosi di Six Days, è perso tra i due mondi. La prima mezz'ora è di preparazione; Hung-wah si prende il tempo per presentare i personaggi ed assommare qualche indizio sul loro passato (perché lei era in prigione, perché sono rimasti in tre). La parte centrale complica invece l'ingranaggio, dividendosi tra i problemi dei singoli e ponendo le basi per l'inevitabile bagno di sangue finale. In generale l'idea potrebbe anche funzionare; è l'interazione tra i diversi frammenti e il ritmo singhiozzante inscritto nella pellicola a non reggere. Naturalmente A Game of No Rule è un film a budget zero e di poche pretese; fin qui, nulla de recriminare. Difficile però comprendere quale sia la logica dietro una tale dispersione di potenzialità. Sembra che dopo un inizio a carburazione lenta, si sia sentito il dovere di esplorare quanti più subplot possibile, in una rincorsa caotica verso quello conclusivo. Sul terreno rimangono, sanguinanti e macilenti, cadaveri di spunti non approfonditi, solo tratteggiati - mal sfruttati. Discorso parallelo sui personaggi: sarebbe bastato un nonnulla per una caratterizzazione a tutto tondo. Invece no, la fiera dell'inesplicato, discorsi raffazzonati che inseguono l'effetto, perdendosi nel totalmente vacuo. Kathy Chow, una faccia da dura, spigolosa e incazzata quanto basta, non sfigura, ma è lasciata a se stessa; così le potenzialità del suo personaggio naufragano in pose scopiazzate che solo una direzione più consapevole e mirata avrebbe saputo smussare. Michael Wong, d'altro canto, è semplicemente fuori luogo: il suo mascellone squadrato, con gli occhi gigioni e la faccia strafottente, è a tratti persino scostante.
Un film lasciato a se stesso.

Hong Kong, 2000
Regia: Tony Leung Hung-wah
Soggetto / Sceneggiatura: Tony Leung Hung-wah
Cast: Kathy Chow, Michael Wong, Gabriel Harrison, Jason Chu, Stephen Au