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The EyeQuello che rischia di essere l'ultimo Mifed - troppi appuntamenti in troppo poco tempo, secondo gli operatori - conferma il trend delle ultime edizioni: molto più oriente che occidente e aumento degli screenings con un giorno in più di proiezioni. Dopo gli eccessi di sicurezza dello scorso anno, postumi dell'11 settembre, questo è stato l'anno del no press, please, in cui è stato difficile anche solo farsi accreditare come stampa. Unici del tutto e per tutto cortesi si confermano i sellers sud coreani, con alcune piacevoli eccezioni quali l'Hong Kong Trade Development Council - in grande espansione il loro FilmArt, principale mercato asiatico - che come ogni anno mette a disposizione competenza, disponibilità, un pranzo cinese e un utilissimo libro che riassume la produzione cinematografica locale dell'anno precedente.
Necessaria avvertenza : per le singole recensioni e i pareri sui film visti agli screenings rimando alle schede presenti su questo stesso sito e sul portale parallelo Asia Express (dedicato al cinema di Corea, Giappone, Thailandia e del resto del Sud Est dell'Asia). Qui ci limitiamo a segnalare, a giudizio sindacabilmente personale, le cose migliori viste al Mifed, cioé: Sympathy for Mr. Vengeance, Oasis, Lover's Concerto, Over the Rainbow e L'Abri. Tutti sud coreani, e non è un caso. Non mancano le grandi attese deluse, come R U Ready?, The Resurrection of the Little Girl e il piatto 2009: Lost Memories, oltre a una serie di thailandesi a dir poco inguardabili (Phra-Paimanee, Kumpan - The Legend of the Warlord, 999-9999).
Subito le brutte notizie, l'Italia vende poco e compra ancora meno, soprattutto i soliti noti. Unici orientali acquistati, un po' a sorpresa, l'horror The Eye dei fratelli Pang - sulla scia di Ring ormai tutto fa brodo - e Oasis di Lee Chang-dong, che vantando il marchio del festival di Venezia, e un paio di premi importanti, potrebbe anche uscire al cinema. D'altronde il nostro mercato vive di riflesso, e non è detto che via Miramax o Warner Brothers (o chissà quale altra major) non arrivi qualche altro film, probabilmente dirottato verso l'home video o pay tv, ultimamente agguerrite. Diversamente, e non ci fa onore doverlo sottolineare ogni anno, agiscono altre nazioni europee, che, compreso il valore delle produzioni orientali, investono direttamente i propri capitali. Così fa la Francia, che ha stretto un piano di collaborazione con la Korean Film Commission intitolato A Plan for Co-Operation between KOFIC and CNC (il Centro Nazionale di Cinema francese): previste collaborazioni, scambi culturali e coproduzioni. La KOFIC è risultata la più attiva e al tempo stesso la più ricercata. In prossimità del Festival di Pusan - le cui attrazioni erano Dolls di Kitano; Too Young to Die, a lungo bloccato in censura per le scene di sesso tra anziani; il nuovo blindatissimo Kim Ki-duk, Coast Guard -, insieme al Pusan Promotion Plan, è stato istituito un programma di discussione e collaborazione tra 10 diversi paesi asiatici - Giappone, Corea, Cina, Thailandia, Iran, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Malesia -, l'Asian Film Industry Network 2002, i cui risultati si vedranno nel futuro prossimo.
Ma non è finita qui, la Corea del Sud è in questo momento davvero un passo avanti agli altri. La CJ Entertainment sta varando, in collaborazione con la DC Town Capital, il progetto Koreatown, una serie di multiplex da 700 posti da sviluppare nelle principali città nord americane (ad uso e consumo degli immigrati) dove proporre film coreani in lingua originale e film stranieri sottotitolati in coreano. La Mirovision guarda esplicitamente all'estero e sta producendo molti film direttamente in lingua inglese. La stessa casa presentava Cry Woman, la prima coproduzione tra Corea, Giappone e Francia. Hideo Nakata girerà con capitali coreani il suo nuovo film, non di genere, Last Scene, che parla del tentativo di un grande attore, ex alcolista, di tornare in auge. Se pensiamo che il cinema sud coreano ha festeggiato quest'anno il raggiungimento del 44% della quota nazionale per quanto riguarda gli incassi cinematografici (il primo film straniero è Spirited Away di Miyazaki, non un americano), c'è poco di che stupirsi. I soldi ci sono, ci sono produttori intraprendenti - la Samsung che finanzia il film d'animazione Wonderful Days, pellicola da guiness dei primati quanto a costi -, non mancano risultati positivi e attenzione internazionale. Moltissimi titoli sono stati venduti, come lo scorso anno, negli States. La Warner distribuirà Marrying the Mafia e sta preparando il campo al distruggi-box office The Way Home; Musa - The Warrior uscirà nei cinema francesi, inglesi, tedeschi e scandinavi.
Pur di non farsi scappare una possibile gallina dalle uova d'oro, anche la Thailandia, altro leone del mercato, ha subìto il saccheggio. Nonostante la scarsa qualità delle proposte. Tom Cruise ha comprato i diritti per il remake di The Eye; la Sony Pictures ha acquistato l'epico The Twins EffectSuryiothai - film lunghissimo, si accettano scommesse sul minutaggio dei tagli - e ha aperto una nuova filiale con l'idea di investire 100 milioni di dollari per almeno cinque film all'anno tra Corea, Thailandia e Cina. In tutto questo le commissioni nazionali hanno cercato di risollevare le proprie cinematografie - l'Hong Kong Film Guarantee Fund, la Japan Agency for Cultural Affairs, la Thai Film Commission - e di vendere il vendibile, ad ogni costo, ad ogni prezzo.
Hong Kong conferma un momento non positivo. Nonostante la Media Asia sbandieri progetti - Cat & Mouse, commedia di lusso con Andy Lau e Cecilia Cheung; Infernal Affairs di Alan Mak e Andrew Lau; il nuovo Stanley Kwan con Leon Lai e Sammi Cheng; Titanium Rain con Jackie Chan, regia di Stanley Tong - e sorrisi (di circostanza), c'è poco di cui rallegrarsi, almeno finché arrivano solo gli ipertrofici blockbuster occidentalizzati - come The Touch o Naked Weapon, totalmente recitati in inglese - e tanti b-movies di cui si ignora la provenienza (come il misterioso Undiscovered Tomb o i cento e più economicissimi titoli della B&S Film Creation Works House). Hong Kong cerca la Cina, che non ricambia l'amore: la Teamwork e la Universe, quasi major, propongono in catologo con orgoglio film della nuova madrepatria (GeGe di Yan Yan Mak; Spring Subway, visto a Udine) e insistono su coproduzioni retoriche come May & August di Raymond To. Gli unici vero scossoni li danno il duo pop Twins, protagonista di The Twins Effect di Dante Lam e Donnie Yen, coproduzione sino-australiana con la Arclight Entertainment e la sempreverde Michelle Yeoh, che ruba Jingle Ma alla Golden Harvest e gli fa dirigere The Masked Crusader, su un'eroina locale (oltra all'annunciato Hua Mulan e all'horror Jiang Shi di Law Chi Leung). Con più orgoglio Taiwan offre intransigenza nazionale, film d'autore di cui per assenza di screeings e brochure si sa poco o niente e biscotti della fortuna immangiabili. Sulla Cina continentale meglio sorvolare, unico arrivo degno di nota pare Springtime in a Small Town. Per il resto la Repubblica Popolare è solo teatro di produzioni altrui: i costi di lavorazione sono ridotti e i finanziamenti tramite la China Film Co-Production (CFCC) fanno comodo. Passeranno per queste lande Oliver Stone, John Dahl, Tarantino e tanti altri da Francia, Australia e Giappone.
Proprio il paese del Sol Levante è il caso del giorno. Dopo la grande abbuffata, il grande digiuno: colpa della caduta della borsa, cui molte compagnie sono legate a filo doppio, e del ricambio ai vertici delle grandi compagnie. Toho, Toei e Shochiku hanno completato un difficile processo di sostituzione dei dirigenti cominciato un paio di anni fa. Boccata d'aria fresca il successo di Princess Blade, comprato per un remake americano, e l'alleanza tra Kadokawa Shoten e Horizon Entertainment, che ha venduto praticamente tutti i gioielli del catalogo della casa nipponica, dai tre Ring a The Yin-Yang Master, passando per la nuova commedia di Shusuke Kaneko, If You Sing About Love. Interessante risvolto del mercato interno, che ha sancito la rinascita e il successo al botteghino dei period dramas, meglio se con samurai. Tutto è cominciato con Owl's Castle di Masahiro Shinoda, Gohatto di Oshima e Dora-Heita di Kon Ichikawa, cui sono seguiti The Sea Matches di Kei Kumai, Ryoma's Wife, Her Husband and Her Lovers di Jun Ichikawa, il bellissimo The Twilight Samurai di Yoji Yamada e The Last Sword Is Drawn di Yojiro Takita. Almeno in questo caso non ci si è calati le braghe di fronte alla globalizzazione; ma quanto a spirito e identità nazionale, si sa, i giapponesi sono secondi a pochi. E poi tra gli indipendenti c'è sempre un Takashi Miike presente con ben tre film girati quest'anno - per inciso uno più bello dell'altro -, o uno Shinya Tsukamoto, che con A Snake of June ha stupito e spiazzato come sempre se non di più.