Categoria: PROFILI

Wong JingSe non ci fosse, Wong Jing, bisognerebbe proprio inventarlo. Anche al più scettico dei critici basta scorrere la sua filmografia per rendersi conto di non essere di fronte ad un qualsiasi cinematografaro, ma ad una delle più spietate e prolifiche macchine produttive della storia dello spettacolo hongkonghese. Figlio d'arte, Wong ha ereditato dal padre Wong Tin Lam la creatività, cui unisce un senso innato per gli affari, caratteristica che gli vale il successo in un mondo dove il denaro è al primo posto nella scala dei valori. I primi passi il giovane apprendista li muove come sceneggiatore, ottenendo nel 1981 la prima regia. Siamo agli sgoccioli dell'impero degli Shaw Brothers e nonostante una scarsa distribuzione Challenge of the Gamesters incassa dignitosamente: è il primo di una lunghissima serie di lavori che hanno il gioco d'azzardo come oggetto di discussione. Dopo vari tentativi dello stesso genere, Wong trova il grande colpo nel 1988 con God of Gamblers, nato come parodia degli hardboiled diretti da John Woo (da cui prende in prestito il protagonista Chow Yun Fat) e subito prototipo.
Con il suo cinema usa e getta, fatto di budget controllati e impregnato di un gusto tendenzialmente popolare, il regista costruisce le sue fortune. E' innegabile che Wong sia in possesso di un fiuto fuori dal comune, ancor più come produttore che come regista, battezzando nel bene o nel male le opere e le persone più importanti degli ultimi venti anni di cinema. Contribuisce, tra gli altri, a lanciare Stephen Chiau, Andrew Lau, Andy Lau, l'ex compagna Chingmy Yau, Jet Li e finisce per lavorare con ogni nome che conti a Hong Kong, da Jackie Chan a Anita Yuen, passando per le inaspettate sponsorizzazioni autoriali di Ringo Lam (The Adventurers) e Lawrence Ah Mon (il dittico Lee Rock). Apparentemente sciatto, Wong Jing non è certo uno sprovveduto: quando ha voluto (Return to a Better Tomorrow, A True Mob Story, Honesty, Colour of the Truth ne sono buoni esempi) ha saputo coniugare leggerezza e sostanza con stile e passione invidiabili. Tutto si può dire di Wong, ma non che non sia in grado di affrontare le difficoltà a testa alta, e di precorrere i tempi: grazie allo straordinario intuito è capace di lanciare mode (i già citati God of Gamblers, gli episodi della serie Raped by an Angel), di ripetersi (e di riciclare le idee altrui) e di aggiustare il tiro strada facendo pur di accontentare i cambiamenti dei gusti del pubblico. La platea ha sempre premiato la schiettezza di questo modo di fare cinema garantendo un'affluenza costante e incassi generosi (anche se mai esorbitanti). Una ricompensa tutto sommato dovuta ad un regista che ha compreso limiti e potenzialità di una cinematografia così inventiva ma al tempo stesso così legata a generi e filoni. Come produttore non ha rivali e la sua factory si avvale stabilmente di un certo numero di esecutori - in testa il talentuoso Andrew Lau e l'affidabile Aman Chang - in grado di garantire un numero di film all'anno non inferiore alla decina: solo quando un progetto lo interessa particolarmente, Wong scende direttamente in campo per posizionarsi dietro la macchina da presa. O magari davanti, per brevi apparizioni, come in Martial Angels dell'allievo Clarence Ford, altro nome ricorrente tra i suoi discepoli. Tuttofare oltre ogni dire, non ha problemi ha ricoprire più ruoli - regista, sceneggiatore, produttore - pur di ottimizzare i costi.
Il suo cinema è variegato, ma può essere ricondotto ad una serie di temi comuni. Anzitutto il gioco d'azzardo, vera passione del nostro trasposta più volte sullo schermo, a partire dall'esordio. Ancor prima del successo di God of Gamblers (di cui ha diretto una mezza dozzina di seguiti ufficiali e ufficiosi), aveva mescolato azione e commedia al tavolo da gioco in Casino Raiders, ambientato in una sala da gioco così come i recenti successi della serie The Conman, con Andy Lau, Nick Cheung e Louis Koo. L'occhio della telecamera diventa in questi casi esplicazione del rischio e del trasporto personale e utilizza inquadrature ardite per poter sfruttare l'emozione della scoperta delle carte. Altro genere ricorrente è il poliziesco, per lo più imitazione di canoni lanciati da altri registi: The Last Blood è un action movie con parentesi melodrammatiche e imperniato di una comicità sopra le righe; City Hunter è l'incontro con Jackie Chan (poi preso in giro in High Risk), esageratamente cartoonesco e strampalato; Return to a Better Tomorrow è una saga criminale che guarda al genere con occhio disincantato, così come A True Mob Story, accorata denuncia della decadenza del mondo delle triadi. Terzo grande filone, la farsa in costume. I due Royal Tramp prendono in giro la seria drammaticità del wuxiapian, mentre con The Kung Fu Cult Master e Last Hero in China è il rinato gongfupian ad essere messo alla berlina. Quando ha a disposizione il talento comico di Stephen Chiau o quello atletico di Jet Li, tutto fila liscio, e i brutti Holy Weapon e Legend of the Liquid Sword dimostrano il peso di certe assenze se la sceneggiatura non è all'altezza. Wong diventa anche l'incontrastato re dell'eccesso a sfondo sessuale: con Naked Killer, diretto da Ford, dà il via ad una serie di Cat. III erotici ed eccessivi. La commedia Ghostly Vixen, i cinque Raped by an Angel, il secondo e il terzo Sex and Zen, A Chinese Torture Chamber Story sono solo alcuni dei titoli più famosi. Non pago, il regista attua una ricerca della comicità che si divide su due strade opposte: da una parte commedie romantiche molto frivole, come quelle interpretate da Chingmy Yau (Blind Romance, I'm Your Birthday Cake), dall'altro una demenzialità che si appoggia alla personalità di un attore di peso (Stephen Chiau in Tricky Brains, Anita Yuen in Whatever You Want..., Tony Leung Ka-fai in The Spy Dad).
Analizzando la sua opera, per quanto variegata e multisfaccettata, a posteriori, riconoscendone tratti e preferenze, è possibile insignire Wong Jing del titolo di autore. Anzi, è la sua stessa personalità e una concezione del cinema come industria che sono le basi per una tesi del genere, senza d'altronde poterne negare le grandi capacità tecniche e intellettive dell'artigiano con un fiuto essenziale per il successo. Non ci si stupisce della pessima reputazione di cui gode negli ambiti più intellettuali (scarsamente considerato dai colleghi e da molti attori, nonostante abbia lavorato con i tecnici e gli interpreti più importanti del panorama locale; è particolarmente inviso alle attrici per la tendenza ad allungare le mani sul set) e il rapporto di disistima è reciproco (si vedano a tale proposito le continue frecciate lanciate all'eterno rivale Wong Kar-wai). Wong Jing costituisce l'altra faccia della medaglia, quella più spudorata e grossolana, più esagerata ma dotata di altrettanta ironia: ed è necessario che un cinema che vive sui contrasti possa contare su una figura di tale portata genuinamente (in)consistente.